L’intervento, secondo le prime simulazioni ufficiose, costerebbe tra 1 e 1,5 miliardi almeno nella fase iniziale (ogni punto di riduzione del costo del lavoro stabile, per i nuovi ingressi, vale circa 300 milioni di euro). In questo caso il taglio potrebbe essere ripartito in parti uguali tra imprese e lavoratori; ma si sta approfondendo anche una diversa articolazione, ad esempio un alleggerimento di due terzi per l’azienda e di un terzo per il lavoratore. Una scelta che nascerebbe dall’opportunità di ridurre il costo del lavoro, producendo, al tempo stesso, una ricaduta positiva sulle buste paga dei dipendenti.
Si sta esplorando anche l’ipotesi di un intervento più radicale, con un taglio al costo di tutto il lavoro stabile (vale a dire, vecchi e nuovi assunti). Qui l’esborso per l’Erario salirebbe di molto, visto che un punto di contributi in meno vale, sempre nella fase iniziale, circa 2-2,5 miliardi (ma la coperta è corta, questa ipotesi potrebbe decollare in caso di rinuncia al blocco dell’Iva). Sul tavolo, negli ultimi giorni, è entrata anche un’altra ipotesi, caldeggiata dal Pd: la decontribuzione totale per tre anni per il primo impiego, da affiancare, per gli under35, a una “dote formazione” portabile (per agevolare nuovi inserimenti occupazionali a seguito di eventuali carriere discontinue, dovute a licenziamenti o dimissioni). «Stiamo approfondendo temi e costi, ne parleremo questo fine settimana al Lingotto - evidenzia Marco Leonardi, a capo del team economico di palazzo Chigi -. L’obiettivo è proseguire nella strada tracciata dal Jobs act di riduzione delle tasse».
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