Renzi: "Sulle riforme decido io, non la Troika"

"Sono stato primo ministro per cinque mesi. In questi cinque mesi abbiamo fatto una riforma costituzionale che nessuno ha fatto in settant'anni. Quel che abbiamo fatto non è sufficiente, dobbiamo fare di più". Lo dice il premier Matteo Renzi in un'intervista al Financial Times.
Investitori chiedono di andare ancora più veloce - "Quando parlo al telefono con il Senato, con le autorità fiscali, con quelle giudiziarie e gli chiedo di andare più veloci" con le riforme, "loro mi rispondono: 'Nessuno in Italia è mai andato così veloce'. Poi vado dagli investitori stranieri e mi chiedono di andare ancora più veloce".
Il nostro modello è la Germania, non la Spagna - "Il nostro modello non è la Spagna ma la Germania". Lo spiega il premier Matteo Renzi al Financial Times, a proposito della riforme avviate in risposta alla crisi economica. Il presidente del Consiglio ricorda tra l'altro di aver ricevuto un'ampia investitura popolare alle ultime europee: "Non credo ci sia nessun altro leader in Europa che può dire di avere tanti voti quanti il Partito democratico in Italia. Nessuno, neanche Angela Merkel".
Non sono parte del sistema che ha distrutto Paese - "Roma è una città piena di lobbisti. L'Italia è abituata a un capitalismo di relazione. Io non sono parte di quel sistema che ha distrutto questo Paese. Io sono solo, con il 40% di italiani che hanno votato per me, con gli 11 milioni di italiani che hanno votato per il mio partito, e solo con questi e con la mia squadra, questo Paese cambierà".
"Decido io tagli, non un tecnocrate" - "E' Renzi a decidere dove faremo tagli, non un tecnocrate". Lo dice Matteo Renzi al Financial Times. Il premier, secondo quanto riferisce chi lo intervista, smentisce una rottura con Carlo Cottarelli ma spiega che intende prendere il controllo in prima persona dei tagli alla spesa.
Il punto sull'intervista, di Silvia Gasparetto
L'Italia andrà avanti sulla via già tracciata delle riforme e in autunno si presenterà in Europa coi conti in ordine e senza la sindrome dell'ultimo della classe. "Sulle riforme decido io, non la Troika, non la Bce, non la Commissione Europea" mette in chiaro Matteo Renzi in una intervista al Finantial Times, assicurando che, nonostante il quadro economico complicato dalla recessione ancora in atto, il 2014 si chiuderà con il rapporto deficit/Pil "al 2,9%". Certo più alto di quanto il governo aveva stimato nel Def (la previsione era 2,6%) ma sotto il paletto Ue del 3%, che è "una regola vecchia, ma e' una questione di credibilità e reputazione", dice il premier, consapevole che è proprio a Bruxelles che, forte di quel risultato elettorale unico nel quadro dell'eurozona, si giocherà il grosso della partita. Ma l'Italia, assicura Renzi, ha tutte le chance per farcela: "Porteremo l'Italia fuori dalla crisi: l'Italia ha un grande futuro, le finanze italiane sono sotto controllo e continueremo a ridurre le tasse. Faremo cose rivoluzionarie". Mario Draghi, aveva spiegato anche in un colloquio con La Stampa, dice che "se non fa le riforme l'Italia non è attrattiva per investimenti esteri. Bene, questa è la linea anche mia e di Padoan. Siamo d'accordo, nessun problema". Diverso è invece se si interpretano le sue parole come la necessità che sia l'Europa a indicare all'Italia le cose da fare. L'Italia "non ha bisogno di qualcuno che le spieghi cosa fare" dice ancora più tranchant. Niente "spinte da Bruxelles" o dal terzetto Ue-Fmi-Bce, insomma, ma anzi, saranno "gli Stati a dover indicare alla Commissione via e ricette per venire fuori dalle secche".

la ricetta non può che essere, e per tutti, incentrata sulla crescita, con misure che favoriscano investimenti e occupazione. Ricetta che potrebbe essere 'condita' da maggiore flessibilità cui l'Italia punta non per chiedere sconti ma per avere un po' più di ossigeno per lo sprint per la ripresa. Visti i margini ristretti sui conti pubblici, e il rischio che l'intero 2014 si chiuda con il segno meno (ma Renzi conta su una "crescita migliore" nella seconda metà dell'anno), l'attenzione del governo è concentrata prima di tutto sulla revisione della spesa. Da cui si dovranno ottenere da un lato le coperture 'strutturali' per rendere permanente il bonus degli 80 euro (servono circa 10 miliardi), dall'altro risorse che potranno essere utili a garantire il rispetto del 3% anche il prossimo anno. 16 miliardi è l'obiettivo indicato dal premier e che sarà dettagliato con la legge di bilancio per il 2015. Per metterla a punto il governo si prenderà tutto il tempo a disposizione (il termine per presentarla è il 10 ottobre), anche perché, viene spiegano, non sono due settimane in meno a fare la differenza.
Per le misure di spending review il governo avrà a disposizione i dossier del commissario Carlo Cottarelli (c'è già il piano sulle partecipate locali, con risparmi stimati 2/3 miliardi riducendole da 8mila a mille in 3 anni). Di certo, al momento, c'è solo che si agirà col 'bisturi', cercando di evitare i tagli lineari. Altro capitolo che potrebbe essere inserito nella legge di stabilità quello della flessibilità in uscita, che permetterebbe di dare da un lato una risposta strutturale a situazioni come quelle degli esodati o dei disoccupati ultracinquantenni e dall'altro di liberare posti permettendo l'assunzione di giovani. Sul fronte del debito, invece, con le privatizzazioni che stentano a decollare, una mano potrebbe arrivare dalla valorizzazione degli immobili pubblici.
Al Tesoro ci stanno lavorando attraverso Invimit Sgr: si parte da Inail (che ha sottoscritto nei giorni scorsi con una prima tranche da 440 milioni di euro il Fondo di fondi 'i3 Core') ma ci sono progetti anche su Inps e scuole. Certo, si ragiona, l'operazione non è semplice perché il patrimonio pubblico "non è così appetibile" vista la complessità della gestione e la necessità di "risorse per manutenzione e valorizzazione". Ma è un primo passo, intanto in una ottica di "razionalizzazione", e quindi di risparmi di spesa. E in un secondo momento anche di abbattimento del debito.

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