Eutanasia si o no? Il cruccio dei comuni mortali


(Foto Ansa) Di Rossana Quatraro-È stato assolto Nicolas Bonnemaison, il medico francese di 53 anni che aveva praticato l’eutanasia a 7 pazienti terminali tra il 2010 e il 2011. Secondo la ricostruzione dei fatti, il dottore avrebbe somministrato grandi quantità di sedativo e farmaci a persone anziane in stato vegetativo, tali da provocargli la morte. Scoperto da alcuni infermieri, l’uomo fu denunciato e di conseguenza licenziato dal pronto soccorso e radiato dall’albo nel 2013. Ieri, il verdetto della corte di Assise di Pau: assolto da tutte le imputazioni.

Con questa notizia, si riapre ancora una volta il dibattito sulla tanto discussa eutanasia. Alcuni riconoscono in un assoluto soggettivismo etico, il diritto a poter decidere di voler mettere fine alla propria vita, in relazione alla dignità umana. Eluana Englaro, è stata per anni al centro della polemica. Suo padre, Beppino, si è battuto per anni affinché il governo concedesse di sospendere l’alimentazione forzata a sua figlia ormai in coma da 17 anni che non avrebbe mai accettato, se fosse stata cosciente, di vivere così. Si parla di “non vita” anche nei casi di Piergiorgio Welby , Carlo Maria Martini e tanti altri che non fanno notizia poiché in alcuni Paesi europei come Belgio, Olanda, Lussemburgo e Svizzera, il suicidio assistito è legale.

Vincent Humbert , divenuto tetraplegico, muto e cieco in seguito ad un incidente automobilistico, voleva e chiedeva di poter morire. L’unica cosa che gli era rimasta era la lucidità e cercando di farsi capire da chi gli stava intorno, ha lanciato l’appello al presidente Jacques Chirac dicendo: “A voi che avete il diritto di dare la grazia, io domando il diritto di morire”. La sua vicenda è stata successivamente riportata nel libro Io vi chiedo il diritto di morire.

Malgrado l’art. 32 della carta costituzionale sancisca la libertà di un individuo di poter decidere a quali trattamenti potersi sottrarre, in Paesi come il nostro, l’unico modo per decidere della propria esistenza in casi così gravi, è il testamento biologico. Un documento scritto, in cui sono presenti le proprie volontà riguardo lo stato di salute, in piena facoltà di intendere e di volere per una possibilità fatalista di incapacità mentale e che in alcune italiane può essere depositato in un registro comunale apposito.

Se da una parte c’è chi reclama il diritto a morire, dall’altra c’è chi predica il diritto sacrosanto alla vita. Papa Francesco, in un’udienza per gli operatori sanitari ha ribadito l’importanza della vita in qualunque condizione poiché in ogni caso, non si spezza mai il rapporto con Dio e bisogna essere pronti ad accettare anche le sofferenze che ci vengono riservate. Un inno alla vita, alla preghiera, alla speranza e alla dignità che non per tutti finisce in un letto, immobili e con un sondino nasogastrico che ci alimenta.


Ma chi può davvero giudicare cosa sia meglio per gli altri in situazioni così drammatiche? E quanta sofferenza si prova nel vedere un proprio caro stare in uno stato di patimento, dopo averlo vissuto per anni come una persona attiva e autonoma? O doversi distaccare da quel corpo che egoisticamente vorremmo ancora toccare e vedere? Ci vogliono coraggio e forza in ogni caso, sia che si decida per la vita che per la morte.

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