"La Festa della donna? E' tutti i giorni"


Francesco Greco. L'8 marzo 1908 un gruppo di operaie di un’industria tessile di New York scioperò per protestare contro le terribili condizioni di lavoro. Lo sciopero proseguì per diverse giornate, ma fu proprio l'8 marzo che la proprietà dell'azienda bloccò le uscite impedendo così alle operaie di sortire. Un incendio ferì mortalmente 129 di loro (tra cui anche alcune italiane): donne che cercavano semplicemente di migliorare la propria qualità del lavoro e di vita.

E’ passato oltre un secolo e niente è cambiato. 28 febbraio 2013, Taranto: crolla un ponteggio all’Ilva, alle 5 della notte, in una cokeria e muore un operaio, Ciro Moccia, 42 anni, mentre Antonio Lidi, dipendente di una ditta appaltatrice, resta ferito.

   “Ogni giorno – esordisce Anna Colavita, psicologa, psicoterapeuta, analista transazionale - uomini e donne combattono, soffrono, lottano per i propri diritti e bisogni: credo pertanto che oggi, 8 marzo 2013, sia anacronistico continuare a mantenere in piedi il muro della separazione uomo-donna. Siamo esseri umani a prescindere dal sesso e la razza e  combattiamo una battaglia comune per i nostri diritti e bisogni”.
Aggiunge la professionista: “Nel mio studio (a Presicce, Lecce, viale Stazione, c/o Physion, t. 339-1425153, info sul sito www.annacolavita.it, n.d.r.) lavoro con le persone e insieme a loro costruisco l’alleanza che significa fiducia, sicurezza, accettazione. Lavoro sia con uomini che con donne. L’ esperienza che costruisco insieme a queste persone mi dà una grande occasione: arricchire il mio punto di vista attraverso le esperienze degli altri. Lavoro, ripeto, con uomini, donne, bambini, omosessuali, bisex, adolescenti, categorie di genere che non utilizzo come etichette: di fronte a me c’è sempre una persona.  Siamo prima di tutto persone al di là del sesso e dell’età, dei gusti”.
   L’8 marzo (foto di Filomena Giorgino) è l’occasione giusta per riflettere su come si è evoluto, nel XXI secolo, l’epoca dell’hashtag i socialnetwork, delle piazze virtuali e del Grande Fratello, i talent-scout e il tablet il rapporto uomo-donna rispetto ai canoni tradizionali.


Domanda: Lei non vede una differenza tra uomini e donne?

Risposta: “Quando si incomincia un percorso di psicoterapia, c’è un momento importante che lo caratterizza: la definizione del contratto terapeutico con il quale si va a definire qual è l’obiettivo che la persona vuole raggiungere. Un contratto che viene stipulato spesso è il seguente: voglio imparare ad ascoltare e soddisfare i miei bisogni e sentirmi bene. Questo contratto viene richiesto in egual misura sia da uomini che da donne”.

D. E qual è la sua idea rispetto a questa diciamo così parità?

R. “Che a prescindere dal sesso abbiamo tutti lo stesso desiderio: affermarmi per quello che sono, accettarmi e sentirmi accettato per ciò che sono, riconoscermi il diritto di poter soddisfare i miei bisogni”.

D. Quindi i “nemici” delle donne non sono gli uomini, e viceversa?

R. “Esatto. Se continuiamo a farci la 'guerra' in casa tra marito e moglie, tra fidanzato e fidanzato, continuiamo a fare la guerra tra poveri. Se proprio vogliamo trovare un <nemico>, credo che siano i modelli culturali che ci hanno inculcato: le donne possono piangere, devono essere delle brave mogli, delle brave mamme e se il marito le tradisce devono perdonarlo. Gli uomini non possono piangere, però poi possono tradire. In una parola la diversità uomo-donna l’abbiamo costruita noi dando forza ai concetti e ai modelli culturali. Ma se puliamo il campo da preconcetti ci assomigliamo tanto nei desideri che nelle emozioni. Voglio dire è vero che il modello educativo prevede che ai maschietti sin da piccoli si debba insegnare a non piangere, ma questo non significa che gli uomini non sanno piangere, ma solo che hanno più difficoltà a manifestare le proprie emozioni.  Come quando si dice che il tradimento fatto da una donna è più grave di quello agito dall’uomo, e che le donne perdonano con più facilità. E’ difficile accettare di essere traditi, e tutti abbiamo difficoltà a perdonare, a prescindere dall’essere uomo o donna”.

D. Cosa pensa della festa dell’8 marzo?

R. “Credo sia una festa commerciale, in quel giorno i fiorai venderanno tante mimose e questo va bene per l’economia. Credo però che si sia perso di visto il significato che le donne dell’epoca hanno dato a questa ricorrenza: non dimenticare che non è giusto che le classi sociali più forti abusino del loro potere, e vedano le classi più deboli economicamente come degli oggetti intercambiali: quelle operaie avevano un nome, dei figli come hanno un nome tutte le persone che ogni giorno oggi muoiono sui cantieri”.

D. La sua analisi è un po’ politica, la sua azione terapeutica ne è influenzata?

R. “Riconoscere e sostenere le persone a ritrovare il diritto di poter esprimere e soddisfare i propri bisogni non è fare politica, ma nutrire un amore sincero verso il genere umano. La psicoterapia non è qualcosa di avulso dalla società. Quando faccio terapia non posso dimenticare che la persona che ho davanti è parte della società, che vive, costruisce e subisce la realtà nella quale è inserita”.

D. Appena sono entrato nel suo studio lei ha detto: per me ogni giorno è 8 marzo. Cosa voleva dire?

R. “Che la nostra festa va bene così, cioccolatini, fiori, mimose  sono un modo per esprimere affetto, amore, rispetto e omaggiare le donne, ma che non va fatto solo quel giorno. Le donne hanno il diritto di essere amate e amarsi, rispettate e di rispettarsi ogni giorno, sopratutto se non riescono a farlo e continuano a sopportare abusi, violenza psicologica. E’ il momento di dire basta. Imparare ad amarsi e a rispettarsi: e questo è un messaggio rivolto sia agli uomini che alle donne”.

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