Milano, 5 novembre 2025 – La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha condannato Alessia Pifferi a 24 anni di reclusione per l’omicidio della figlia Diana, morta di stenti nel luglio del 2022 nel suo appartamento di via Parea, nel quartiere Ponte Lambro.
In primo grado, la donna era stata condannata all’ergastolo per omicidio aggravato da futili motivi e dal vincolo di parentela. Oggi, i giudici hanno concesso le attenuanti generiche equivalenti all’unica aggravante rimasta, quella del vincolo familiare, escludendo invece quella dei futili motivi. Già in precedenza era stata esclusa anche la premeditazione.
La pubblica accusa: “Lasciò la figlia in condizioni disumane”
Durante la lunga requisitoria, l’avvocata generale Lucilla Tontodonati aveva chiesto la conferma dell’ergastolo, sottolineando la piena consapevolezza dell’imputata:
“Se Pifferi lascia alla piccola quell’acqua e quel biberon, è perché sa che ne ha bisogno. È consapevole delle conseguenze, altrimenti non le avrebbe lasciato neppure un bicchiere d’acqua”.
Secondo la pubblica accusa, la donna, ritenuta capace di intendere e di volere, avrebbe abbandonato la figlia per quasi sei giorni in condizioni disumane, con solo una bottiglietta d’acqua e un biberon di latte, in piena estate e con le finestre chiuse.
“Non è una madre che uccide con un gesto violento – ha aggiunto la pg – ma che lascia la bambina morire lentamente di fame e sete nel caldo di luglio. È una condotta omissiva, atroce, eppure lucida”.
La difesa: “Pifferi è un vaso vuoto”
L’avvocata Alessia Pontenani, difensore della 40enne, ha insistito sul riconoscimento della semi infermità mentale o, in alternativa, sulla derubricazione del reato.
“Quando si parla con Alessia Pifferi ci si rende conto che è un vaso vuoto. Non riesce a ragionare, non trova soluzioni alternative. Nessuno si è mai preoccupato di lei né della bambina”.
Le reazioni della famiglia
All’uscita dall’aula, Maria Assandri, madre di Alessia Pifferi, ha dichiarato con voce commossa:
“Sono mamma. È mia figlia pure lei. Non me la sento di commentare”.
Più dura invece la sorella Viviana Pifferi, costituitasi parte civile insieme alla madre:
“Ventiquattro anni per una cosa così orrenda. Ventiquattro anni è il valore di una bambina di 18 mesi che non c’è più. L’ha lasciata morire da sola mentre andava a divertirsi. Per noi sono pochi”.
Il loro legale, Emanuele De Mitri, ha aggiunto:
“L’importante è che la Corte abbia riconosciuto l’omicidio volontario. Sarebbe stato inaccettabile se si fosse parlato di omicidio colposo”.
Con questa sentenza, si chiude il secondo capitolo giudiziario di una vicenda che ha scosso profondamente l’opinione pubblica e sollevato ancora una volta interrogativi sulla responsabilità genitoriale e la fragilità sociale.

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