FRANCESCO GRECO - “Sei alla disperazione processuale”, (Massimo D’Alema). “Voglio vederlo consumare il rancio, col pigiama a righe, la matricola e le manettine…”, (Francesco Rutelli). “Cinghialone”, (Alessandra Mussolini, un cognome che evoca dolore e tragedie).
C’è voluto un quarto di secolo, ma Craxi è diventato statista. All’italiana. Chi lo ha dichiarato? Quelli che 25 anni lo hanno abbandonato al suo destino, che quando si alzò in Parlamento (3 luglio 1992) a chiedere chi era estraneo al sistema delle tangenti di mostrare la sua faccia, tutti restarono coraggiosamente seduti.
E che poi, prima gli tesero la trappola parlando di rientro (ma solo per portarlo in carcere) e poi, davanti a una sua reazione di dignità, lo fecero morire in un ospedale tunisino di quelli improvvisati.
Oggi gli si riconoscono grandi meriti: aveva visto giusto in Medio Oriente (i Palestinesi hanno diritto alla loro patria), la giustizia (le toghe non possono selezionare la classe politica, cosa da dittature ibride), il lavoro (oggi precarizzato e sottopagato), la declinazione internazionale della sinistra oggi appiattita su un atlantismo e globalismo cieco e folle, con sanzioni suicide alla Russia e armi ai nazisti di Kiev e tanto altro ancora.
Gli stessi politici suoi assassini sono immersi in un’operazione di riabilitazione dettata anche da opportunismo. Giornali inclusi, quelli che all’epoca vendevano milioni di copie oggi agonizzanti, distanti dal popolo, strumenti con cui le èlite si lanciano messaggi cifrati.
Addirittura lo celebrano in quattro libri usciti contemporaneamente.
Ci viene in soccorso, come sempre, la memoria contadina, saggezza sedimentata dal tempo. Dice infatti un proverbio: “Ammara a chiru mortu ca nonn’è chiantu all’ura” (traduzione: Peggio per quel defunto che non è pianto quando se ne va).
Piangere e riconoscere meriti ora, a distanza di 25 anni, è un’operazione sommamente ipocrita, da Italietta di provincia, che serve più alle prefiche che al defunto.
Da Mani Pulite a oggi, i socialisti sono stati incapaci di ricostruire un partito rappresentato direttamente nelle istituzioni: persi nel loro squallido individualismo, tutti si candidano sotto altre bandiere e la diaspora non è mai ricomposta.
Anche per questo fa rabbia vedere la figlia, Stefania, titolare dell’omonima Fondazione che, incapace di raccoglierne l’eredità politica, va elemosinando pietà e visibilità a tutti, inclusi i suoi detrattori. Forse Craxi avrebbe qualcosa da ridire…
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