Gli scandali dei concorsi universitari sono endemici


VITTORIO POLITO
– Non vi è proprio nulla da meravigliarsi a proposito dello scandalo dei concorsi universitari truccati della Statale di Milano. La storia dei concorsi pilotati è endemica. Dopo l’ultima inchiesta della Procura di Milano, che ha visto indagati 24 docenti, tra gli altri, anche il noto prof. Galli dell’Ospedale “Sacco” di Milano (ora in pensione), che ha visto coinvolte anche le Università di Pavia, Torino, Roma e Palermo, torna d’attualità il problema dei “concorsi pilotati o truccati” che dir si voglia, che vede, questa volta indagato il rettore della Statale di Milano. Pare che la Procura accusi il Magnifico di essersi accordato con altri colleghi per affidare due cattedre a docenti raccomandati prima del bando.

Dalle notizie che pervengono dai mass media si deduce chiaramente che non è una novità il malcostume esistente negli ambienti accademici e dell’assoluta libertà che hanno i docenti. Ormai le cronache di questi ultimi tempi hanno dato un ampio e dettagliato quadro della situazione dei concorsi che vedono sempre e comunque premiati figli, figliastri, amici e parenti che sembrano avere la precedenza su tutti. Insomma, una «strana razza di genietti» come titolava qualche decennio fa un quotidiano.

Queste sono storie, che vengono da lontano, si ripetono da sempre nelle Università e nei Politecnici. Ricordate gli scandali a Bari che coinvolsero le Facoltà di Medicina, Giurisprudenza, Economia e Commercio, il Politecnico, ecc.?

Chi denuncia è immediatamente messo fuori dal giro, nel senso che difficilmente potrà partecipare ai concorsi poiché sarà sempre isolato. Pare inutile e dannosa ogni denuncia: i baroni sono baroni, solo loro hanno in mano le redini dei concorsi universitari. È una constatazione che viene da lontano e difficile da estirpare.

Lo scandalo scoperto dalla Digos della Questura di Catania nel 2019, vide tra gli indagati due rettori e tantissimi docenti, forse il numero più grande di persone investigate, la cui operazione fu denominata “Università bandita”. Il sistema, secondo gli investigatori, non sarebbe riferito solamente all’Università di Catania, ma esteso ad altri Atenei italiani. Non potrebbe essere diversamente.

Si trattava di centinaia di concorsi e procedure concorsuali che gli investigatori definirono un’associazione a delinquere, che avrebbe avuto come capo il rettore dell’Università di Catania e di cui sarebbe stato promotore il suo predecessore, finalizzata ad alterare l’esito dei concorsi per il conferimento degli assegni, delle borse e dei dottorati di ricerca, per l’assunzione del personale tecnico-amministrativo, per la composizione degli organi statutari dell’Ateneo, per l’assunzione e la progressione in carriera dei docenti. Si parlava di un “codice sommerso” che stabiliva norme e sanzioni nelle progressioni o esclusioni dalle carriere. Insomma decidevano tutto loro come in una società segreta!

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