L'opinione: Gli attacchi in Siria, la responsabilità e l'impossibilità di guardare altrove

(Foto ANSA)

di BEATRICE GALLUZZO - La guerra, la lotta tra fazioni, i combattimenti, le crudeltà, i morti ammazzati esistono da sempre, seppure cambino le cause e gli ideali. La guerra moderna però, e concedetemi l'utilizzo del termine "moderno" che è connotato da una certa vaghezza di fondo, diciamo dagli anni '60 in poi, è diversa per un particolare essenziale. Differisce nel fatto che ci arriva direttamente dentro casa, quasi come potesse comprimersi e viaggiare migliaia di chilometri infilata nei cavi elettrici, e allora accendiamo il televisore o il computer ed esclamiamo:- "Ah guarda, la Guerra." Non abbiamo più il privilegio di voltarci dall'altra parte.

Ed in queste ore nelle nostre case è entrata la Siria del 4 e 5 aprile 2017, dopo che Khan Sheikhun, città a nord-ovest di Idlib, è stata oggetto di un attacco chimico che ha portato a centinaia di feriti e a un bilancio provvisorio di 74 morti. Conseguentemente, si sono verificati una serie di bombardamenti sugli ospedali in cui erano ricoverate le numerose vittime. Gli attacchi con armi chimiche sono state vietate dalla comunità internazionale perchè si è tentato di mettere delle regole minime di dignità da seguire anche nel più sanguinoso dei conflitti. Che dei civili innocenti, tra cui figurano anche circa 20 bambini, come testimoniano i Reports e le foto che abbiamo visto in queste ore, possano passare delle sofferenze tanto atroci, inutili e arbitrarie, è evidentemente qualcosa che trascende qualunque definizione data, almeno dal 1948 ad oggi, di dignità umana.

Non che nel corso del conflitto siriano sia la prima volta in cui sono state impiegate le armi chimiche. A Damasco il 21 agosto 2013 un attacco con il gas sarin (probabilmente lo stesso utilizzato anche ieri) aveva portato a un tragico bilancio di 1400 vittime. Secondo il Report di Human Rights Watch, alla luce delle prove raccolte nel corso di una lunga indagine, il responsabile era il regime di Assad. L'amica Russia aveva posto il veto sulle sanzioni delle Nazioni Unite contro Damasco e spinto il governo a cedere alla richiesta di consegnare all'OPEC il suo arsenale chimico, il quale era stato distrutto.

Adesso compiamo un salto temporale, ritorniamo al presente. Ci siamo indignati, allibiti, arrabbiati. Dopo l'emozione riaffiora la razionalità, e da lucidi ci troviamo di fronte a numerosi interrogativi, ma i più pressanti di tutti girano intorno a un unica parola si sei sillabe: Responsabilità. Perché è in corso una partita di ping pong internazionale: Damasco e Mosca dicono che è stato condotto un raid aereo dalle forze siriane sì, ma che ha colpito un deposito di armamenti chimici che invece appartiene ai ribelli; Washington, ha risposto prima col silenzio, poi ha diviso le responsabilità dell'attacco a metà, il 50% al Regime di Bashar Al Assad e l'altro 50% alla precedente amministrazione Obama, rea di essere stata in passato troppo debole nel reagire alla situazione siriana dopo gli eventi del 21 agosto 2013. Che poi, come riporta il Guardian, con un tweet del 5 settembre 2013 in realtà Trump intimava all'allora Presidente di non attaccare assolutamente la Siria per evitarne le conseguenze, è un altro discorso. 
 
(Foto REPUBBLICA)

In ogni caso, oggi alle 16 (ora italiana), sotto l'impulso di Francia, Gran Bretagna e USA, si riunirà il Consiglio di Sicurezza dell'ONU per condannare i vergognosi accadimenti di ieri e fare luce sulla vicenda, ricostruendo i fatti e attribuendo le varie responsabilità, che ricadono ipoteticamente anche sul governo di Damasco, il quale è comunque chiamato in causa per chiarire la sua posizione, che al momento non è certamente limpida. Per i Governi la questione ovviamente trascende la tragedia umana. Si parla anche di interessi geopolitici, di come muoversi sullo scacchiere internazionale rispettando i rapporti di forza, e tenendo conto delle dinamiche delle relazioni internazionali. Di essere, nei limiti del possibile, vincenti. Noialtri, non addetti ai lavori dei vertici politici invece, non possiamo far altro che fare un bilancio delle vittime.

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