Dal “Paese dei coppoloni” a “ Canzoni della cupa”, continua il viaggio del’Ulisse caposseliano

di ILARIA STEFANELLI — E’ iniziato il 6 maggio nella città del santo delle “vittime dei propri errori”, tanto caro al cantautore emiliano di sangue irpino, il tour  del parlato e raccontato che vedrà Vinicio Capossela in giro su e giù per lo stivale per presentare il frutto del suo ultimo lavoro artistico “ Canzoni della cupa”.

Un lavoro di lunga gestazione, che affonda le sue radici in un percorso che l’artista ha “ covato” nell’arco di tredici anni, o forse più e che ha , in parte, dato un primo segnale su pagina scritta e immagine impressa nella memoria collettiva con “ Nel paese dei coppoloni” fatica letteraria che ha guadagnato il premio Dante Strega, lavoro tradotto in immagine e diffuso da Nexo Digital questo inverno, per la regia di Stefano Obino.

Le canzoni della cupa rappresentano quindi il coronamento di un percorso sudato, costruito o per meglio dire “ ri-costruito” con attenzione certosina, pietra dopo pietra, dal viandante cantastorie, che avevamo lasciato perso tra gli incanti della musica rebetika greca o intento nel canto salmastro di “ marinai, profeti e balene”, una vera e propria summa del mondo incantante e incantato degli abissi, sulla scia di Conrad, Celine, Omero, tra mostri, sirene, animali, polpi e aedi. Ora il baricentro si sposta, ma non di molto, perché la prospettiva resta la stessa, dal mare, da una terra di mare, una terra d’aedi, l’Ellade, alla terra “ dei padri”, con i suoi canti, le sue creature silvestri, la polvere e l’ombra.

E’ proprio la polvere e l’ombra il binomio da cui parte Capossela per realizzare concretamente questo doppio cd, distribuito e giovi ricordarlo anche in vinile, proprio per permettere all’ascoltatore di avere anche un impatto fisico evocativo col lavoro, elemento che il cantautore non trascura mai di curare per ciascun album, essendo il viaggio musicale anche un viaggio di tatto e di sensi, una “ confezione” che si allinea perfettamente con le sue intenzioni e con lo spirito del lavoro.

Un lavoro a gestazione lunga, per dar vita a un’altra “ summa” sul mondo terragno della sua radice primigenia, quella Irpina, per padre, madre e “ patto di sangue”.  Figlio dell’emigrazione Vinicio, come gran parte della sua gente, di  emigrazione su binario e non su transatlantico, un emigrazione che portava con sé oltre alle vivande per confortare il viaggio della speranza con la morte nel cuore per l’abbandono della terra, anche le suggestioni musicali di Adriano Celentano o di Adamo, insieme al sogno di ritornare per riappropriarsi del bagaglio vero e proprio, la propria radice di appartenenza.

In questo clima Capossela è cresciuto, ricordando le vacanze estive trascorse tra i cortili polverosi delle terre dell’Osso, di questo west mitico ricco di personaggi ribattezzati con le tradizionali ingiurie di paese,  gli appellativi, tra i racconti degli anziani e i canti da “ conversazione”. Nel suo percorso musicale, l’ascoltatore attento ha più volte trovato riferimenti, sia intermini di sonorità, sia tematici a certe suggestioni “ animali”, ai canti anarchici o di lavoro, certi detti tramandati, certi chiari rimandi al favoleggiato, ri- membrato, il senso della devozione, le trasfigurazioni, le metamorfosi ( il Pumminale che da lupo si è trasformato in porco maiale è solo un punto di arrivo che ha radici pregresse al minotauro di Brucia Troia), il “ ritorno”, il viaggio omerico su rotaia, il femminile incantante delle “ disfacitrici dell’unità” tra i covoni della pagliaia, si potrebbe continuare a lungo.

La cornice eletta è, dunque, la terra del “ ritorno” da cui l’artista ha attinto, con spirito sempre meno cantautorale e sempre più etnomusicologico, senza mai perdere l’animo leggero ed elegante del cantastorie, un recupero dei suoni tradizionali, delle storie e delle suggestioni per filtrare il tutto attraverso la sua sensibilità di viaggiatore “ che si fa strada camminando”, tra pietre, polvere e ombra.
Dopo la prima presentazione “ ufficiale” che si è tenuta presso la libreria Feltrinelli di Bari, Capossela è “ volato” in Irpinia per una presentazione meno ufficiale ma di certo più accorata, la location era e per ovvi motivi, la stazione di Conza, incastonata tra le colline della terra dei Coppoloni, per un congiungimento felice con l’abbraccio del vero protagonista di questo album, il popolo d’Irpinia, che lo ha atteso, fin dalle prime ore del pomeriggio seduto ordinatamente tra i binari della ferrovia.

La ferrovia, tema caro al cantautore, luogo da cui tutto parte per andare altrove, per poi ritornare e ripartire ancora.  Giunto su un carrello mobile, trasportato dagli amici storici a indicare l’indissolubile legame con le radici, Capossela ha regalato al suo pubblico due ore di racconti intervallati dall’ascolto di stralci di alcuni brani, sotto un sortilegio da affabulatore incantante, in un silenzio religioso, le rotaie hanno preso a muoversi e a dare corpo e immagine alle figure di “ Franceschina la calitrana” , “ La Padrona mia”, “ Maddalena la castellana” “ Il Pumminale”, “ Faccia di corno” “Pettarossa” e , tra gli altri, del brano “Il treno” che come al culmine di un rito pagano antico ha tramortito il pubblico accompagnandolo in un viaggio dalle suggestioni controverse, tra Mexican e vecchio West di morriconiana memoria.

Al termine della presentazione l’artista ha incontrato il suo pubblico per la tradizionale firma dell’album e l’abbraccio dei visitatori, accorsi lì da ogni parte d’Irpinia e dalle regioni limitrofe, a seguire una festa dal sapore tradizionale allestita appositamente dagli amici dello “ Sponz Fest”, evento cardine dell’offerta culturale e folcloristica locale, il cui creatore e maestro di cerimonia è, appunto, lo stesso cantautore.

Tra fisarmoniche, bicchieri di vino, i canti di conversazione dei vegliardi del paese capitanati dal menestrello ad honorem, Giovanni Fiordellisi, la terra ha accolto,  in occasione del festeggiamento augurale del suo figlio prediletto, i tanti visitatori accorsi, celebrando tra quadriglie e abbracci collettivi un auspicato ritorno alla terra.
Una sorta di piccola e delicata anticipazione della cerimonia ufficiale vera e propria, che si celebrerà dal 22 al 28 agosto proprio nelle terre dell’Osso.

Un festival divenuto ormai uno degli eventi di punta a livello nazionale, iniziato “ in sordina” come una celebrazione spontanea voluta da Capossela e che con l’avvicendarsi delle edizioni, sta diventando sempre più rilevante per spessore artistico e non solo.
Lo spirito di aggregazione e di riscoperta della comunità, l’accoglienza, il contatto umano tra gente del posto e visitatori, maestro di cerimonia e organizzatori ne hanno decretato il successo.

Un successo che si fonda sulla collaborazione scevra da qualsivoglia spirito commerciale, una collaborazione fondata su un messaggio forte, l’intenzione di valorizzare un territorio attraverso tutto  ciò che il territorio può offrire, il lavoro che in questi ani ha sostenuto lo Sponz Fest è stato quello delle braccia e del cuore degli amici storici del cantautore : Antonio de Marco, Marco Cervetti, Franco Bassi, Franco Fioredellisi, Giuseppe Fiordellisi e gli organizzatori che nello specifico hanno dedicato tempo ed energie, Michele Maffucci, i ragazzi delle associazioni locali, gli amministratori, gli enti, congiuntamente alle donne irpine che hanno accolto, cucinato, insegnato, raccontato, facendosi così portatrici sane della grazia dell’accoglienza.

Il senso della parola “ terra” parte da qui, come da qui parte il viaggio di Vinicio Capossela, il quale , non cessa di ripetere da anni lo stesso concetto “ so da dove parto ma non so mai dove arrivo, così per le canzoni, mi hanno fatto viaggiare tra la terra, la polvere e le pietre, la cosa più bella è sapere dove un incontro, qualsiasi incontro ti porterà, così per le canzoni”.

“ Le canzoni della cupa” sono state realizzate con l’ausilio di collaborazioni “ preziose”, che tra le pietre hanno accompagnato il “ capo cantiere”, vecchi amici e compagni d’armi, la grande Giovanna Marini, colonna portante dei canti popolari, la salentina Enza Pagliara, il giovane bandito Asso Stefana alla chitarra, i Calexico che hanno animato insieme a Vinicio il palco del concerto del 1 maggio,  gli storici amici della Banda della Posta,Victor Herrero, Howe Gelb, Antonio Infantino, Flaco Jimenèz, in un lavoro comune che ha favorito contaminazione musicale e umana.

Capossela si muove tra le pietre, la polvere e l’ombra, al suo pubblico il compito più importante, quello di ritornare al paese, alla radice, alla madre seguendo i canti del viandante per tenere viva la passione di vivere:
“Coloro che non hanno radici, che sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell’umano: per non essere provinciali, occorre possedere un villaggio vivente nella memoria a cui l’immagine e il cuore tornano sempre di nuovo e che l’opera di scienza o di poesia riplasma in voce universale”.

Da de Martino ai sentieri della Cupa, il passo è breve.

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