Gdo: meno utili, più tasse ma cresce il valore aggiunto

Se nel 2004-2006 ogni 100 euro di spesa per alimenti, 38 euro finanziavano salari e stipendi delle persone impiegate nella filiera agroalimentare, tale quota è adesso scesa a 35 euro. Questo significa che una parte consistente della ricchezza prodotta dalle imprese del settore non resta più all'interno del tessuto produttivo, ma serve a remunerare soggetti che operano al suo esterno: Erario, beni e servizi offerti da aziende di altri settori economici (pack e trasporti su tutti) e costi di sistema (energia, imposizione indiretta e infrastrutture.E' sufficiente questo dato per capire il difficile contesto in cui opera oggi la filiera agroalimentare italiana che, oltre alle cosiddette voci di "sistema", deve fronteggiare una crisi economica senza precedenti certificata da un calo verticale dei consumi ritornati ai valori del 1990, con ricadute su tutti gli anelli che compongono il settore: produttori (agricoltura), commercianti (all'ingrosso e al dettaglio, grande distribuzione organizzata e commercio tradizionale), fornitori di mezzi tecnici e sistema dei servizi".

Crisi e recessione, però, non frenano la crescita della Gdo che sta reagendo meglio di altri comparti della filiera continuando ad investire e a ridistribuire ricchezza, in primis allo Stato e ai dipendenti. E' questa la premessa da cui parte il rapporto di Nomisma, "Filiera agroalimentare italiana", presentato questa mattina a Roma da Sergio Nardis, capo economista, e Denis Pantini, direttore area agricoltura e industria alimentare della società, in occasione del convegno "Agricoltura e moderna distribuzione: valore e valori".

L'incontro - organizzato da Adm (Associazione distribuzione moderna) in collaborazione con Federdistribuzione, Coop e Conad  -  è stato aperto da Luca Sani, presidente della Commissione agricoltura della Camera e chiuso da Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Alla tavola rotonda, coordinata dal giornalista Alessandro Mastrantonio, hanno partecipato: Mario Guidi, presidente Confagricoltura, Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti, Dino Scanavino, presidente Confederazione italiana agricoltori, Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, Marco Pedroni, presidente Coop Italia e Francesco Pugliese, direttore generale Conad.
Nonostante le evidenti difficoltà congiunturali, lo studio mette però in evidenza che la filiera continua comunque ad avere un ruolo da protagonista nel panorama economico e sociale nazionale: 8,7% sul Pil con un valore aggiunto di 119 miliardi di euro; 14% dell'occupazione con 3,2 milioni di lavoratori occupati e 76 miliardi di euro di retribuzioni (lorde) pagate; 23 miliardi di investimenti ogni anno; oltre 20 miliardi di contributi versati all'Erario. Considerando poi l'indotto, l'intero settore arriva a pesare il 14% del Pil italiano.

Sono numeri, quelli di Nomisma, che rendono bene l'idea del "peso" della filiera. Ma lo studio non si limita ad una radiografia economica e finanziaria del comparto, va più a fondo sollevando le numerose criticità che ne frenano la competitività: estrema polverizzazione dell'offerta produttiva e ridotta organizzazione commerciale delle imprese; esigua presenza di aziende agricole e alimentari di dimensioni medio-grandi; un significativo grado di concentrazione nella fase distributiva, anche se non ancora allineato ai principali paesi europei; la dipendenza dall'estero per molte produzioni agroalimentari, soprattutto materie prime agricole.
A queste peculiarità, fa notare Nomisma, si devono aggiungere i noti effetti dei deficit infrastrutturali e degli elevati costi dell'energia e dei trasporti, in primis.

All'interno della filiera agroalimentare, lo studio sottolinea l'importante contributo della Distribuzione nella creazione di ricchezza. Infatti, nel quinquennio tra il 2004-2006 e il 2008-2011 è aumentato il valore aggiunto prodotto di circa 2,5 miliardi di euro. I principali beneficiari sono stati gli occupati nella fase distributiva: le remunerazioni pagate dalle imprese distributive sono aumentate di quasi 1,9 miliardi di euro assorbendo i ¾ del maggior valore creato (2,5 miliardi di euro).
Allo stesso modo, la crescita del valore aggiunto ha permesso di finanziare nuovi investimenti (quasi +600 milioni di euro) e il costo sostenuto per reperire capitale di terzi (+222 milioni di euro). Infine, la crescita del valore aggiunto ha permesso alla Distribuzione di accrescere il proprio contributo nei confronti dell'Erario: le imposte dirette sono aumentate di 18 milioni di euro. L'unica componente del valore aggiunto che al contrario si è ridotta si riferisce agli utili aziendali (-243 milioni di euro).

In sintesi, nel periodo preso in esame, la Distribuzione ha garantito una crescita di valore che ha avuto come primi beneficiari gli stakeholders (dipendenti, Stato) più che le aziende distributive stesse (i cui utili sono diminuiti).


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