Turchia al voto tra i veleni

ANKARA. Turchia è con il fiato sospeso per l'esito del voto amministrativo, trasformato dagli scandali a ripetizione delle ultime settimane in un referendum sul 'sultano' Recep Tayyip Erdogan. Il futuro del premier, al potere da 12 anni, potrebbe essere in bilico.
Dopo le pesanti accuse di corruzione, autoritarismo, nepotismo, Erdogan ha annunciato che lascerà se il suo partito islamico Akp non sarà più la prima formazione del paese. Una scommessa a prima vista facile. Ma non sono esclusi colpi di scena.
Alle politiche del 2011 l'Akp ha ottenuto il 50%, il principale partito di opposizione, il Chp di Kemal Kilicdaroglu, il 25,9%. I sondaggi, poco affidabili, danno al partito islamico fra il 30% e il 48%, e fra il 25 e il 33% al Chp, a seconda del grado di vicinanza al potere. Una sconfitta del partito islamico sarebbe un vero e proprio terremoto elettorale. "Erdogan è ferito mortalmente, ma non dovrebbe cadere subito", pronostica il politico Ahmet Insel.
La battaglia per il controllo di Istanbul sarà con ogni probabilità determinante. La megalopoli del Bosforo - dove Erdogan fu eletto sindaco nel 1994 iniziando la sua irresistibile, finora, ascesa politica - è la chiave di ogni elezione in Turchia. "Chi conquista Istanbul, prende il Paese", ripete lo stesso Erdogan, che ha chiuso la campagna con ben cinque comizi a Istanbul, promettendo uno "schiaffo" all'opposizione domani nelle urne. I sondaggi danno un testa a testa fra l'uscente, l'islamico Kadir Topbas, e il popolare candidato dell'opposizione Mustafa Sarigul. Il Chp spera di strapare all'Akp anche la capitale Ankara, in mano all'uscente Melih Gokcek da 20 anni. Una sconfitta nelle due più grandi città del Paese sarebbe difficilmente superabile per Erdogan e potrebbe innescare una rivolta interna nell'Akp.

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