MILANO – Nuova udienza nel processo d’Appello a carico di Alessia Pifferi, la donna accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di 18 mesi, nell’estate del 2022 nel suo appartamento di via Parea, nel quartiere Ponte Lambro a Milano. In primo grado Pifferi era stata condannata all’ergastolo per omicidio volontario aggravato. Dopo la requisitoria di oggi, è attesa la sentenza di secondo grado.
In aula è intervenuta la sostituta procuratrice generale Lucilla Tontodonati, che ha definito il caso «una vicenda dolorosissima, con immagini atroci e sconvolgenti». La pg ha ribadito che Pifferi è pienamente capace di intendere e di volere, come accertato da due perizie d’ufficio e da consulenze di parte: «È una donna capace di intendere e volere ed è stata una madre capace di intendere e volere. Su questi assunti non si può più discutere».
Secondo la pubblica accusa, la donna lasciò la figlia da sola per quasi sei giorni, nel caldo di luglio, con soltanto «una bottiglietta d’acqua e un biberon di latte». «La condotta è raccapricciante e difficile da accettare concettualmente – ha detto la pg – perché non si tratta di un gesto impulsivo, ma di un’azione omissiva prolungata nel tempo».
Uno dei principali nodi del processo riguarda proprio la capacità di intendere e di volere dell’imputata. La perizia disposta in Appello ha confermato la piena imputabilità della donna. Nella precedente udienza, la criminologa Roberta Bruzzone, consulente di parte civile, aveva descritto Pifferi come una persona «totalmente centrata sui propri bisogni, in grado di fare un bilanciamento lucido tra sé e gli altri».
Richiamando il giorno del ritrovamento, il 20 luglio 2022, Bruzzone aveva ricordato: «Tornata a casa, apre le finestre, lava la bambina, la sistema e poi chiama la vicina di casa, iniziando la messinscena. Dice che l’aveva lasciata con la babysitter. Mostra una capacità manipolatoria di buon livello».
La Corte d’Appello di Milano si ritirerà nelle prossime ore per emettere la sentenza.

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