Milano - Le lacrime, i tocchi delicati sul feretro coperto di rose e calle, gli abbracci per farsi forza a vicenda. Questa mattina, centinaia di persone hanno riempito la chiesa di San Luca Evangelista, in via Ampère, per l’ultimo saluto a Matteo Barone, detto “Baro”, travolto all’alba del 6 settembre scorso da un’auto guidata dal poliziotto fuori servizio Giusto Chiacchio, 26 anni, poi risultato positivo all’alcoltest. Il ragazzo stava attraversando sulle strisce pedonali ed era quasi arrivato a casa quando è stato investito.
Avrebbe compiuto 26 anni il prossimo 2 ottobre. La sua grande passione era il rap: aveva lasciato il lavoro di corriere per dedicarsi a tempo pieno alla musica. “Perderti così all’improvviso è ingiusto – ha detto Dario, il suo migliore amico – come se una parte di me fosse morta con te. Ma ci resta il ricordo, la tua musica, le risate, le frasi. Una su tutte, ‘Non ti scordare di me’. È quello che ti promettiamo oggi, Baro: non ti scorderemo mai”.
La madre Eva, circondata dagli amici del figlio, ha ringraziato tutti per la manifestazione di affetto. Cordoglio anche da Caterina Antola, presidente del Municipio 3.
Al microfono, monsignor Avondios Bica, dell’Arcivescovado ortodosso di Milano, ha raccontato: “Matteo veniva spesso a parlarmi: cercava risposte spirituali”. Bica è rimasto sconvolto quando ha saputo che il ragazzo investito in via Porpora era proprio lui.
Nell’omelia, don Enrico Parazzoli ha unito profondità e ironia: “Noi proviamo a misurare la vita, a calcolarla. Ma la vita non si rinchiude nelle misure, è sempre più grande. Allora, perché siamo qui oggi? Per rendere lode. Perché Matteo è nato, perché è entrato nell’esistenza come un miracolo, una sorpresa, uno stupore. ‘Ho una vita un po’ di m…’ diceva, ma ci ha messo qualcosa di unico: sé stesso, nella sua imperfezione. Matteo non si è trascinato, non ha vivacchiato. La sua vita porterà frutto”.
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