FRANCESCO GRECO. MOSCA – Zelenskij ormai è un cane morto senza collare, di cui i suoi sponsor non sanno come sbarazzarsi? Ci sono possibilità che vada a Mosca per incontrare Putin? Quali elementi concorrono a fermare la guerra e pacificare l’area euroasiatica? Cosa pensano e come vivono i russi il riarmo e le minacce dell’Occidente?
Interrogativi di stringente attualità, mentre siamo sospesi fra propaganda e realpolitik, annunci schizofrenici (Trump, ultimatum, dazi) e fedeltà canina a vecchie alleanze (Italia) in un mondo ormai in tutta evidenza multipolare.
Di questo e d'altro ancora parliamo con Mark Bernardini, giornalista, interprete, traduttore, sottile analista politico, a Mosca da una vita (ma ha anche la cittadinanza italiana).
Zelenskij è un cane politicamente morto che i suoi burattinai non sanno come seppellire?
Zelenskij è assolutamente organico ai suoi datori, è una loro creatura.
Il problema – per loro – è che, a forza di ricevere continui complimenti, crede davvero di essere diventato un geniale statista e un fine stratega militare.
Niente male, per un cabarettista che ha iniziato suonando il piano in scena con il proprio pene (non sto scherzando, letteralmente).
Dunque, forse non è ancora giunto il momento di sbarazzarsene, come tradizionalmente fanno i curatori occidentali ogniqualvolta in giro per il mondo il giocattolo si rompe, ed il dittatoruncolo di turno procura più noie che tornaconti.
Certo è che l’establishment occidentale sta mandando precisi segnali: piantala di fare di testa tua, “chi paga ordina la musica”.
Avvertimenti abbastanza espliciti, a voler leggere tra le righe.
Putin non ha raccolto il suo invito per un incontro, forse perché, sul filo del diritto internazionale, l’uomo di Kiev è un ectoplasma, privo di peso specifico?
Per Zelenskij sarebbe una legittimazione, un mettersi al livello del vincitore, di un presidente legittimamente eletto.
Non si capisce (si capisce benissimo) come si possa pensare che a Putin ciò possa interessare.
Zelenskij è un presidente illegittimo, scaduto da maggio 2024, lo dice persino la Costituzione ucraina: anche in presenza di una legge marziale, le elezioni si fanno, ne sono esempi negli USA Wilson nel 1916 e Roosevelt nel 1944.
E il potere passa al presidente del parlamento fino a nuove elezioni.
Ma il punto non è nemmeno questo, per Putin: in fondo, sono affari interni del popolo ucraino.
Immaginiamo un documento di fine guerra firmato da Zelenskij.
È chiarissimo per tutti che Zelenskij perderebbe le elezioni.
Quanto varrebbe, a quel punto, la sua firma? In una scala da uno a dieci, circa meno un milione.
Chi impedirebbe al presidente successivo di ricusare il documento firmato dal suo predecessore? Gli incontri ai massimi livelli si fanno tra pari, e solo dopo aver espletato tutte le procedure preliminari.
Altrimenti, finisce come durante la guerra civile cinese, Mao Tse Tung e Chiang Kai-shek.
Quest’ultimo insisteva continuamente che bisognava incontrarsi di persona e risolvere tutto.
In finale si sono incontrati cinque volte. Si fotografavano, sorridevano, ma questo non ha portato alla cessazione della guerra civile.
Perché le questioni e le contraddizioni basilari non erano state risolte. La guerra continuava. Nonostante i massicci aiuti occidentali, questa guerra i nazionalisti l’hanno persa. Hanno vinto i comunisti.
Come si potrebbe mettere fine alla guerra stabilizzando l’area euroasiatica?
Dovrebbero verificarsi una serie di eventi di portata globale che al momento sembrano sideralmente lontani. L’Occidente dovrebbe cessare l’invio di armi in Ucraina – tanto più che troppo spesso l’élite ucraina se le rivende a terroristi d’ogni risma in giro per il mondo – ed è davvero poco probabile, dopo tutte le ingerenze dal 1991 in poi, soprattutto nel 2014.
La NATO dovrebbe rispettare quanto promesso per decenni, di non espandersi a oriente: quattro ondate, passando da dodici a trentadue Paesi membri, fino ai confini dell’attuale Federazione Russa.
Anche questo appare improbabile, visto quanto investito in tale disegno.
L’Unione Europea dovrebbe recedere dalle sanzioni che hanno ripetutamente dimostrato di essere più dannose per coloro che le hanno comminate anziché per i sanzionati.
Sembra fantapolitica. Soprattutto, ci sono una serie di punti fermi da parte della Russia: denazificazione, smilitarizzazione, neutralità, nessuna alleanza militare internazionale.
È evidente che le decisioni non vengono certo prese a Kiev, bensì a Bruxelles, Londra e Washington.
Al momento, non risulta che in queste capitali abbiano alcuna intenzione di dar retta al buonsenso.
Intanto NATO e UE si armano, la mattina dicono che i russi combattono con le pale, la sera chiedono ai popoli 800 miliardi di euro e il 5% dei PIL: ma contro una decina di scalmanati russi con le pale non paiono un po’ esagerati?
In effetti, sono contraddizioni curiose ancorché facilmente confutabili.
Se i russi combattono con le pale, che bisogno c’è di acquistare armi per tale astronomico importo, compromettendo – forse in modo irreversibile – l’economia e l’industria euroccidentale?
E se invece è una potenza nucleare che non ha ancora impiegato appieno (ma potrebbe farlo a breve) armi futuristiche, quali, ad esempio, il sistema missilistico mobile terrestre e il missile balistico a medio raggio Orešnik?
Gli unici che finora ci hanno guadagnato, ed hanno da guadagnarci nel futuro prossimo, sono l’industria bellica statunitense, da cui gli europei acquistano a spese dei propri contribuenti, non potendo produrre altrettanto in casa.
Di questa aggressività dell’Occidente collettivo, cosa pensa il popolo russo? Magari trova un filo comune con la disastrosa campagna di Napoleone (1812) e l’“Operazione Barbarossa” (1941)?
Aggiungerei anche gli innumerevoli tentativi del regno di Svezia, tra il 1142 e il 1809.
Senza però addentrarci in riferimenti storici troppo remoti, è sufficiente limitarci all’invasione tedesca di ottant’anni fa.
Come volete che reagisca, anche psicologicamente, il comune cittadino russo, nel vedere sul proprio territorio, sulla sua terra, i carri armati germanici con le croci teutoniche?
Bisogna dire che i propagandisti atlantici hanno realizzato un lavoro eccelso, in fatto di russofobia, e non da ieri.
I manifesti democristiani degli anni ’40 e ’50 pullulavano di cosacchi e mongoli trinariciuti (mostri con tre narici) dell’Armata Rossa che abbeveravano i loro bianchi cavalli nelle fontane del Bernini in piazza San Pietro.
Adesso, un riferimento storico lo chiedo io: qualcuno può citarmi una sola volta in cui la Russia abbia invaso di sua iniziativa l’Europa occidentale? Quali colonie del mondo ha invaso la Russia zarista o l’Unione Sovietica?
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