Confermate le condanne per la morte di Simone Renda: giustizia dopo 17 anni

LECCE - Si è concluso con la conferma delle condanne inflitte in primo grado il processo d’appello per la morte di Simone Renda, il bancario leccese di 34 anni deceduto il 3 marzo del 2007 in una cella del carcere Playa del Carmen, in Messico. La Corte d’Assise d’Appello di Lecce, presieduta da Teresa Liuni, ha ribadito le pene severe per i sei imputati, accusati a vario titolo di omicidio volontario e di violazione dell’articolo 1 della Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti.

Le condanne

Il direttore del carcere Arceno Parra Cano e il vicedirettore Pedro May Balam, insieme al giudice qualificatore Hermilla Valero Gonzalez, sono stati condannati a 25 anni di reclusione. Le due guardie carcerarie di turno, Najera Sanchez Enrique e Luis Alberto Arcos Landeros, e il responsabile dell’ufficio ricezione del carcere, Gomez Cruz, dovranno scontare 21 anni di reclusione. Due agenti della polizia turistica municipale di Playa del Carmen sono stati invece assolti.

La tragedia di Simone Renda

Simone Renda fu arrestato il 1° marzo 2007 a Playa del Carmen per disturbo alla quiete pubblica in un hotel dove stava trascorrendo una vacanza. Due giorni dopo, il giovane morì in una cella di isolamento dove era stato abbandonato senza ricevere alcuna assistenza sanitaria, nonostante le sue precarie condizioni di salute. Non venne mai trasferito in ospedale, e nessuno informò la famiglia o il consolato italiano della sua situazione.

Le parole dell’avvocata Balducci

I genitori di Simone Renda, rappresentati dall’avvocata Paola Balducci, erano parti civili nel processo. Al termine dell’udienza, l’avvocata ha dichiarato: “Giustizia è stata fatta. Simone Renda è stato lasciato morire nel carcere di Playa del Carmen dopo essere stato ingiustamente arrestato. Un giovane ragazzo italiano, abbandonato senza cure, senza interprete, senza difensore. Simone è stato lasciato in carcere senza che nessuno avvisasse la famiglia ed il consolato, nonostante necessitasse di un ricovero urgente per una grave patologia”.

Una sentenza storica

La sentenza rappresenta un importante riconoscimento di responsabilità per un caso che ha scosso profondamente l’opinione pubblica italiana. La famiglia di Simone ha atteso 17 anni per ottenere giustizia, con una battaglia legale che ha messo in luce gravi violazioni dei diritti umani. La decisione della Corte d’Assise d’Appello di Lecce sancisce un passo fondamentale per restituire dignità alla memoria di Simone e alla sua famiglia.

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