In ginocchio da Putin

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FRANCESCO GRECO -
“Abbiamo bisogno di pace in Ucraina”, Antonio Guterres all’annuale summit dei BRICS, a Kazan, in Russia , tre settimane fa. Il primo dunque è stato il segretario generale ONU.

E’ seguita la presunta telefonata (spacciata per scoop dal Washington Post, ma non ci dice chi ha chiamato chi) fra Vladimir Putin e il neo presidente USA Donald Trump (11 novembre). Smentita dai più, ma forse solo per tattica.

Terzo: il premier tedesco Olof Sholz (“Ferma le truppe e negozia con Kiev”, 15 novembre), due ore di colloquio. Più a uso interno (a febbraio si vota in Germania) che extra moenia.

Questi i contatti di cui siamo a conoscenza, magari altri ne sono avvenuti all’oscuro dei media. Nani e ballerine al comando non sanno che prima o dopo dovrà farsi viva anche l’Italia col Cremlino. Incruditi sugli aiuti addirittura per dieci anni in un mondo virale che cambia ogni 6 mesi, sul “fino all’ultimo ucraino”, sulla difesa della “democrazia”, sul mantra “aggressore-aggredito”, non sanno come uscire dall’angolo.

Leggenda metropolitana vuole che quando il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio (2019-2022) telefonava a Mosca, al Cremlino se lo rimbalzavano ridacchiando e dandosi di gomito.

Non abbiamo fatto grandi progressi: con Antonio Tajani, che detiene il copyright delle armi “difensive”. Un pò come le pistole ad acqua con cui giocavamo da bambini.

Intanto le aziende europee di armi lavorano a tutto ritmo, inclusa la “Leonardo” italiana. Il refrain è che la Russia deve essere contenuta nei prossimi anni, dopo la fine della guerra in Ucraina. “Deterrenza” la chiamano nei salotti buoni.

Il format appare speculare a quello del 1939: Hitler con l’”Operazione Barbarossa” invase l’URSS con un’armata di 5 milioni di uomini per fare “deterrenza” a Stalin e al comunismo.

Che, essendo ateo, non poteva che trovare una sponda nel Vaticano, che non si sbracciò di certo per fermarlo. Silenzio–assenso.

Ora si fa dire a Putin ciò che non ha mai detto: che, bypassata l’Ucraina, intende spingersi sino al Portogallo. Così ci si arma, ripetiamo, per fare “deterrenza” pur con un ritardo tecnologico di almeno un decennio.

Gli USA vogliono disimpegnarsi dall’area dell’Europa orientale, ma devono pur salvare la faccia con l’UE che sta pagando il conto in termini di crisi economica (da un anno produzione industriale in calo). Se Trump se ne andrà in cerca dell’America “great again”, sarà l’Europa a finanziare la “deterrenza”, cioè, i popoli con l’abbassamento del loro già esiguo tenore di vita.

Ma c’è una variabile indipendente di cui non si tiene conto: fino al 25 gennaio 2025, data di insediamento di Trump alla Casa Bianca, gli analisti ritengono che Joe Biden darà altri “aiuti” (armi e soldi) a Kiev. Senza contare il pericolo di altri agguati al neo-presidente.

I media dunque “costruiscono” l’opinione pubblica. La narrazione corrente, seppur relativizzata da molti fattori (a cosa servono i media se non a martellarla e plasmarla?), fa da supporto alla fase operativa.

Oltre all’”Operazione Barbarossa”, riecheggia le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, anni Novanta dell’altro secolo, mai trovate perché mai esistite. Nella provetta che Colin Powell esibì all’ONU (5 febbraio 2003) i sapienti dicono ci fosse antrace, i maliziosi urina. Come dicevano nella suburra: mala tempora currunt, sed peiora parantur. E Flaiano: “Coraggio, il meglio è passato!”.

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