FRANCESCO GRECO - “C’è del metodo in sua follia”, (William
Shakespeare in “Amleto”).
Cominciamo dai numeri? Oltre 500mila i reperti
sinora portati alla luce. L’opera è realizzata al
98% da imprese italiane. Slogan: “Le eccellenze
del Paese lavorano per Roma”. 6 piani interrati, 3
accessi in superficie, 4 archeo-stazioni (“Un
viaggio nella storia… Nel cuore di Roma”).
Eppure c’è chi teme che la metro C di Roma
sia un altro, l’ennesimo “sacco” della sua lunga e
nobile storia. Citiamone due, quelli che più hanno
folgorato l’immaginario dei popoli nei secoli: il
“sacco” del 18 luglio (data fatale per l’Urbe: è la
stessa dell’incendio, 64 d.C.) 390 a.C. da parte
dei Galli detti Senoni (Celti) guidati da Brenno,
partiti da Senigallia, riportato negli annali come
“Clades Gallica” (sconfitta gallica). E quello dei
Lanzichenecchi (tedeschi), 1527: 20000 i Romani
uccisi, 10000 fuggirono, 30000 morirono per la
peste che gli invasori avevano portato.
Altri numeri: 66mila i metri cubi nello scavo
archeologico solo nell’area di Piazza Venezia. Si
prevedono meno 310mila metri cubi di CO2
all’anno. “Uno scavo al centro della Terra
profondo 85 metri” (lì arriva l’idrofresa, “dove la
storia riposa”).
Il tutto senza un minimo di dibattito pubblico,
con le voci critiche (alcune archistar) rimosse,
silenziate. Sinora hanno parlato solo i
commercianti, che temono una drastica riduzione
degli affari.
Eppure, un’opera che costerà , si ritiene, non
meno di 4 miliardi, lo esige e anzi lo merita. Ci si
dovrebbe chiedere se una città particolare dal
punto di vista geologico, urbanistico e storico
come Roma può sopportare quest’ennesimo
stress senza creare squilibri ambientali e
archeologici.
Per esempio: ci si è domandato dove andranno
a finire i 500mila reperti? In un saggio
appassionato e ben documentato firmato da
Daniela Bianco e Filippo Cosmelli, “Il tesoro
invisibile” (Viaggio nell’arte custodita nei depositi
dei musei italiani), UTET, Milano 2021, pp. 208,
euro 22, si parla di “migliaia di oggetti custoditi
nei depositi dei musei italiani… Luoghi onirici,
sospesi in una dimensione di attesa quasi
trascendentale…”. Testimonianze d’ogni epoca
(dal “Tesoro di Taranto” agli stupendi gioielli del
Parco archeologico di Pompei e le chiavi e i
chiavistelli di Palazzo Barberini, Roma, per
citarne solo alcuni) abbandonati nel sottosuolo
sudicio del nostro disincanto, “al buio, avvolti in
fogli di carta velina, chiuso dentro a cassetti o a
grossi armadi”, presumiamo manco censiti come
si deve, quindi de facto metafisici, inesistenti.
Ancora numeri: km totali 26 (17 underground),
29 nuove stazioni, 4 intersezioni con le linee A e
B.
Il postulato di partenza regge a stento:
collegare le periferie al centro. Ma con autobus,
metro A e B e tram i collegamenti oggi sono più
che ottimi. Sono le periferie degradate semmai
che andrebbero guardate un attimino, oltre la
retorica, la demagogia e il populismo di sindaci
del passato.
Dalla rete apprendiamo che i lavori della linea
C sono iniziati nel 2007. Nello stesso anno
vennero presentati i progetti preliminari della D,
messi via però intorno al 2011. Terminerebbero,
stando al crono-programma, limitatamente a
Piazza Venezia, entro dicembre 2024. Le
stazioni di Porta Metronia e Fori Imperiali
saranno pronte a marzo 2025 (in pieno Giubileo).
Non poteva mancare, all’italiana, il risvolto
giudiziario con 4 condanne e 20 assoluzioni per
un danno erariale di oltre 221 milioni euro, ridotto
a 115, divenuti poi 2,3 in risarcimenti.
Così si è chiuso il processo davanti alla Corte
dei Conti sui finanziamenti dei lavori che ha visto
protagonisti 25 fra amministratori e dirigenti
pubblici.
Nel pool di imprese spicca Vianini spa, cioè
Caltagirone, uno dei due palazzinari che, dicono i
Romani, ha in pugno la Città Eterna (l’altro è
Mezzaroma). Uno degli uomini più ricchi d’Italia
(forse il decimo) patrimonio attribuito: 5,3 mld
USD.
Infine, un’dea: perché, a primavera 2025, non
procedere con la metro D? Da Flaminio / Prima
Porta al Verano. Parliamone…
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