Ostia, lascia figlio in auto per andare a giocare alle slot, arrestato un 34 enne - Parla l'esperto



del Dott. Angelo Lapesa - La vicenda accaduta ieri ad Ostia, che ha visto un uomo di 34 anni abbandonare il figlio in macchina per andare a giocare alle slot machine offre notevoli spunti di discussione, dal punto di vista psicologico e sociale.

Si tratta di un esempio lampante, nonché emblematico di quello che il DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) chiama “disturbo da gioco d’azzardo”.
Tale disturbo contempla un comportamento problematico prolungato e persistente riguardo il gioco d’azzardo e le scommesse di gioco,
per cui chi ne soffre gioca, scommette svariate quantità di denaro in maniera incontrollabile ed incontrollata. Tale attività arriva spesso a creare nella vita del soggetto una compromissione socio-lavorativa ed economica, per cui si riscontrano deterioramenti dei rapporti familiari, interpersonali e gravi inadempienze a livello lavorativo.

Si viene a creare una propria dipendenza dal gioco, per cui il soggetto, spinto da necessità ed impellenza, non riesce più a smettere di giocare importi di denaro sempre più cospicui.
Il padre che abbandona il figlio in auto esprime proprio il senso drammatico di tale diagnosi, per cui si arriva a tralasciare, trascurare e dimenticare gli affetti pur di garantirsi una puntata alle slot machines. Come dire che il Dio Denaro conta più dei sentimenti.

Alla base della scommessa vi è infatti un tentativo aleatorio di vincere  una somma di denaro, per cui si “punta X”  per “vincere Y”.  Si accetta di correre il rischio di perdere, animati dalla speranza di vittoria e di guadagno: inoltre è possibile decidere quanto si vuole puntare e quanto si vuole vincere. Si ha l’illusione quindi di calcolare le variabili del rischio, per cui alla fine vale sempre la pena rischiare. Chi gioca d’azzardo tratta il denaro come un oggetto, uno strumento, un fine, un obiettivo ultimo da perseguire. Il cosiddetto “ludopatico” pensa a come procurarsi ulteriormente somme da giocare e reinvestire; crede che giocare con maggior frequenza implichi una maggior probabilità di vincita, e se perde ritorna a giocare per rifarsi delle perdite. Ciò determina il vortice della dipendenza del gioco, croce e delizia per tutti gli scommettitori.

Ulteriore motivazione per chi gioca d’azzardo è la “gratuità” della vittoria, cioè un guadagno facile senza particolari sforzi. Chi lavora infatti porta a casa lo stipendio dietro una corrispettiva prestazione, cioè si impegna per arrivare ad un risultato e riceve un tot di denaro proporzionale all’impiego di energie profuso.

La scommessa in realtà capovolge questo paradigma e propone vincite più o meno probabili che non necessitano un impegno particolare in cambio: si rischia di vincere tanto ma senza alcuno sforzo. Il denaro viene quindi percepito a portata di mano, immediato e facile; a parte l’alea connaturata alla scommessa l’unico rischio che si corre è vincere. Quindi è un rischio che si corre molto volentieri, con maggior frequenza ed impiegando somme sempre maggiori di soldi.

Il denaro tanto e subito costituisce un richiamo per molti soggetti, specie per chi per esempio versa in condizioni economiche difficili, per cui tentare la fortuna conviene sempre. In un periodo di crisi lavorativa, dove molti faticano a trovare un impiego decente, il gioco d’azzardo costituisce una risoluzione immediata e magica dei problemi economici.

E’ d’obbligo ricordare comunque che si sta trattando di un vero e proprio disturbo psichiatrico, spesso comorbile con disturbi depressivi, disturbi di personalità e da uso di sostanze.


Sarebbe quindi assolutamente riduttivo ed errato far dipendere tale diagnosi dal tentativo di migliorare la propria situazione economica. La vincita probabile e facile è solo uno dei meccanismi che alimentano questo disturbo, che ha alla base fattori temperamentali, genetici e fisiologici che meriterebbero una disamina a parte.

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