Un clima di crescente tensione infiamma il Medio Oriente, mentre si aggrava lo scontro tra Israele e Iran. “Fermeremo il nucleare dell’Iran con o senza Trump”, ha dichiarato il premier israeliano Benyamin Netanyahu in un’intervista, confermando l’intenzione del governo di Tel Aviv di contrastare con ogni mezzo il programma nucleare iraniano. Intanto, il ministro della Difesa Israel Katz ha ordinato alle Forze di Difesa Israeliane (IDF) di “intensificare gli attacchi contro obiettivi del regime a Teheran”.
Parallelamente, continuano i lanci di missili tra i due Paesi. Stamattina un missile balistico lanciato dall’Iran ha colpito la città di Beer Sheva, nel sud di Israele, provocando ingenti danni. Sono 17 i feriti in un altro raid su Haifa, dove è stato colpito anche un centro dati di Microsoft. La Guida Suprema iraniana, Ali Khamenei, ha rivendicato l’attacco con un messaggio su X (ex Twitter): “Stiamo punendo il nemico sionista”.
La situazione desta preoccupazione anche sul fronte diplomatico. A Ginevra è in corso un vertice cruciale sul dossier nucleare iraniano tra i ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito e Germania e l’omologo iraniano Abbas Araghchi. Il presidente francese Emmanuel Macron ha anticipato che verrà proposta all’Iran l’apertura di un “negoziato globale”. Secondo fonti diplomatiche riportate da Reuters, Teheran sarebbe disposta a negoziare “limitazioni” al proprio programma di arricchimento dell’uranio a fini civili, ma rifiuta categoricamente la proposta di “arricchimento zero”, soprattutto alla luce dei recenti attacchi israeliani.
Mosca interviene con toni allarmati. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha messo in guardia sul rischio di un’ulteriore escalation: “L’uccisione della Guida Suprema Khamenei aprirebbe il vaso di Pandora”, ha affermato.
Nessuna apertura, invece, verso Washington: fonti iraniane fanno sapere che “non ci sarà alcun negoziato con gli Stati Uniti finché continueranno gli attacchi israeliani”.
La comunità internazionale guarda con crescente preoccupazione al deteriorarsi della situazione, mentre si teme una deriva irreversibile verso un conflitto aperto su larga scala.
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