ROMA - Da oggi si potra' dire addio
all'autocertificazione, che per oltre due mesi ha accompagnato
ogni singolo spostamento di milioni di italiani e, da qualche
ora, e' in vigore solo per le uscite fuori regione. In futuro ne
conserveremo il ricordo? Forse restera' nelle nostre case tra le
scartoffie confuse di questa due mesi di inizio pandemia, nelle
memorie fragili di smartphone e pc, affidata all'eternita'
dematerializzata del web come preziosa fonte da salvare per le
ricerche degli storici di domani. Un po' come per gli storici di
oggi il "bollettino di sanita'" del Seicento, "un pezzettino di
carta stampigliato con cui", scrivendo a mano il nome, "si
certificava o autocertificava di non aver contratto la malattia e
di non essere contagiosi".
Si tratta di "uno dei pezzi forte del sistema di governo
dell'emergenza e di controllo degli individui" di quegli anni,
spiega all'agenzia di stampa Dire Simona Feci, presidente della
Societa' Italiana delle Storiche (Sis) e docente di Storia del
diritto medievale e moderno all'universita' di Palermo, che sulle
pestilenze del XVII secolo stava lavorando coi suoi studenti di
Giurisprudenza proprio quando e' cominciato il lockdown. "Sono
rimasti colpiti dalle straordinarie similitudini nel governo
dell'emergenza- racconta- dalla separazione tra sani e malati al
confinamento, all'incertezza nell'interpretazione della malattia
stessa", con medici che spesso "non avevano e non hanno molte
risposte".
I bollettini di sanita' furono utilizzati "durante la
pestilenza del 1630 a Milano e in Lombardia", ma anche in altre
aree colpite da quella del 1656, come "Napoli, Roma e Genova. La
cosa interessante- sottolinea la storica- e' che si tratta di un
fenomeno che hanno sperimentato un po' tutte le citta'
italiane".
Passano i secoli, molte malattie vengono
sconfitte grazie a vaccini, farmaci e migliori condizioni
alimentari e igienico-sanitarie, la tecnologia assicura un sempre
maggiore controllo delle avversita' della vita. Eppure con il
coronavirus, pandemia "figlia della globalizzazione" per lo
storico Franco Cardini, l'umanita' si e' riscoperta fragile,
quella d'Occidente in particolare. E per proteggersi e
controllare e' tornata ad adottare strumenti antichissimi, come
la 'quarantena' e i 'bollettini di sanita'', sotto forma di
'lockdown' e 'autocertificazioni'.
"Tutti i riferimenti a epidemie ed esperienze del passato di
questi mesi", dall'influenza spagnola del 1918-20, alla Peste
Nera del XIV secolo, alle pestilenze del Seicento, "ci danno
l'idea che avevamo bisogno di trovare dei precedenti, anche molto
diversi- continua la docente- e di dare una cornice di senso che
in qualche modo ci indicasse che non era la prima volta, che non
eravamo da soli in questa esperienza, che c'erano state
esperienze analoghe anche se legate a contesti specifici. Che
possiamo vivere la nostra con tutta la consapevolezza che ci
viene richiesta". E che possiamo uscirne. La storia, infatti, "ci
racconta il cambiamento- osserva la presidente della Sis- e
quindi ci incoraggia a pensare che il cambiamento e' possibile".
Sono le svolte impresse sulla linea del tempo dall'umanita',
dunque, a dare l'idea del fluire della storia, mentre a molti
appare definitivamente tramontato il concetto di "fine della
storia" teorizzato del politologo statunitense Francis Fukuyama.
"A me sembra che la storia non finisca proprio nel momento in cui
noi pensiamo che possiamo dare una direzione diversa al nostro
percorso o alla successione delle generazioni- sostiene Feci- Nel
momento in cui ci poniamo il problema di che cosa consegniamo
alle generazioni successive questo e' l'inveramento della storia,
perche' alimentiamo la nostra consapevolezza, compiamo delle
scelte coerenti e ci proiettiamo nel futuro. Da storica, penso
che dobbiamo tenere duro su questo, diventare veramente padroni e
padrone del mondo che vogliamo e non lasciare che siano poche
persone molto potenti a decidere per noi". Cambiare la direzione
della storia "e' un sogno che molti e molte hanno avuto nel
passato- sottolinea- io un po' illuministicamente ci continuo a
credere".
E "se la storia e' intesa come un progressivo cercare
di governare il futuro sempre piu' attraverso gli strumenti che
la tecnica, la scienza e la conoscenza ci danno- ragiona la
storica- allora in questo senso voglio credere nel
progresso".
Certamente nasceranno nuovi filoni di
studio legati alle domande che tra qualche tempo gli storici si
porranno alla luce della pandemia e della relativa crisi, perche'
"la storiografia" e' "una delle discipline piu' sensibili al
contesto. Io sono molto incuriosita dalla narrazione e dalla
visione- confessa la presidente della Societa' Italiana delle
Storiche, che proprio a causa dell'emergenza Covid-19 ha dovuto
rimandare al 2021 la sua annuale scuola estiva- Penso che sia
molto importante prestare attenzione al modo in cui costruiamo la
narrazione pubblica di quello che stiamo vivendo perche' avra'
molta importanza per il futuro. A me e ad altre colleghe ha molto
colpito il ritorno alla casa- confessa la docente, esperta anche
di Storia delle donne e di genere- una dimensione di confinamento
che di fatto si puo' ridefinire un ritorno alla dimensione
domestica".
Questa esperienza "ci ha messo a confronto con gli ideali di
domesticita'" e ha messo in luce "il rapporto che le donne hanno
con la casa", laddove "l'uscire" e "l'uscire di casa per andare
al lavoro", con "la liberta' di muoversi nello spazio urbano", ha
rappresentato per loro "una grande conquista. Non abbiamo ancora
dati su come gli uomini hanno vissuto questo confinamento
domestico- osserva- se nelle famiglie i bisogni, le pulizie, la
preparazione dei pasti, e tutto cio' che e' legato alla gestione
di una casa e di una famiglia, sia stato ripartito in termini
piu' egualitari. Forse avremo delle sorprese e scopriremo che i
nostri compagni hanno partecipato in modo importante. Mi sembra
che la conciliazione possa tornare a essere un tema forte e
soprattutto condiviso su cui riflettere. E il welfare- conclude
Feci- non sara' forse solo un tema delle donne".
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