Referendum per una giustizia dei cittadini

di Antonio Negro - I radicali, si sa, sono stati il sale e il pepe della politica italiana nella prima repubblica e tornano a esserlo anche in questo momento storico, sebbene con meno visibilità ed enfasi, forse per via dell'età che avanza anche per colui che è stato il simbolo, nel bene e nel male, del loro partito-movimento: Marco Pannella.

   Oggi è tornato allo sciopero della sete per l'amnistia, un’ulteriore protesta contro la situazione carceraria ritenuta da tutti non più sopportabile per un Paese che voglia chiamarsi civile, e che ha ricevuto più di un  richiamo dall’Unione Europea. Ma non è su questo che si vuole richiamare l'attenzione, bensì sul referendum lanciato appunto dai radicali per la riforma della giustizia, che è ritenuta necessaria e che mai nessuno è riuscito a fare perché tanti si sono messi di traverso nel momento in cui bisognava passare dalle parole ai fatti. Già il leader del Psi Craxi ci aveva tentato, negli anni del riformismo socialista, e sappiamo la fine che ha fatto, non la riforma ma egli stesso.

   Avere una giustizia giusta, più funzionante, meno politicizzata, più vicina al cittadino, quello più debole, sembra veramente impossibile in Italia. E potrebbe anche essere, come qualcuno ha ipotizzato, che l'accanimento verso Berlusconi e i suoi amici da parte della magistratura possa proprio servire a nasconderne l'inefficienza e il fallimento.

   Per la giustizia civile si parla di tempi biblici: 20 e più anni per decidere se un albero d'arancio sul confine tra due proprietà va abbattuto o no!

Per quella penale, nessuno è in grado di capirne il funzionamento e in particolare cosa significhi l'obbligatorietà dell'azione penale e a chi è demandata: delitti uguali, giudici diversi, interpretazioni opposte.

   Alla fine degli anni '80, un vecchio cimitero al mio Paese, Alessano, nel Leccese, veniva rimosso per fare altro; i resti dei morti (ossa e altro) furono portate nelle campagne per concimare i terreni: si sa che le ossa umane sono il miglior concime. Protestai vivamente per un'offesa così grave ed evidente al culto dei cari defunti, oltre che per l'aspetto igienico e sanitario, in una comunità particolarmente devota e rispettosa delle cose sacre.

   Mi fu risposto che non c'era niente di delittuoso e che si trattava semplicemente di materia da polizia mortuaria: in sostanza i morti erano morti e basta. Andai in giro per tribunali ma non riuscii a cavare il classico ragno dal buco, eppure ero convinto che la memoria dei defunti non potesse ricevere un'offesa così grande.

   Arrivò un giudice in sostituzione del titolare assente e presentai anche a lui il caso: questi, non solo dimostrò grande interesse, ma se ne occupò immediatamente, tanto da far venire la tremarella a tutti i personaggi coinvolti nella vicenda perché in men che non si dica, tirò fuori dal codice una mezza dozzina di capi d'imputazione che andavano dal sacrilegio all'offesa del culto dei morti, dall'abbandono di resti umani al problema igienico-sanitario e altro ancora che adesso mi sfugge.

   Seppi, poi, che era un cattolico praticante che andava a messa tutte le mattine. Ecco, se non avessi vissuto personalmente vicende come questa, non crederei al fatto che la giustizia dipende dalla soggettiva interpretazione del giudice di turno. E si sente dire che, a volte, pure qui funzionano le raccomandazioni e le conoscenze.

   Anche le vicende recenti, relative alla condanna, inflitta dal tribunale di Milano, a 7 anni per Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, fanno sorgere tanti dubbi sul funzionamento della giustizia, perché, almeno a me, riesce difficile capire come faccia un ultraottantenne (Emilio Fede è nato nel 1931) a esercitare un lavoro che richiede energia, vigore e prestanza fisica: quello del magnaccia.

   Ma anche a voler restare a fatti più vicini a noi, basti pensare al caso-Fitto, a Tedesco, allo stesso Vendola, per notare la differenza di trattamento e per capire che nel sistema giustizia c'é qualcosa che non va, perché sono evidenti i due pesi e le due misure usate in analoghe circostanze. E anche nelle vicende dello scempio del territorio pugliese e salentino, avvenuto con gli impianti fotovoltaici, si possono notare comportamenti schizofrenici tra un caso e l'altro.

   La giustizia va riformata quanto prima se vogliamo superare il gap che ci separa dagli altri Paesi avanzati, e l'urgenza è dettata anche dal fatto che le cose si aggraveranno ancora di più dopo l'eliminazione di numerosi tribunali periferici. Pertanto, mai come oggi diventa attuale la raccolta delle firme per il referendum lanciato dai radicali per la riforma della giustizia. I tre quesiti in materia sono:

- il rientro alle loro funzioni di magistrati distaccati in altre amministrazioni;

- la responsabilità civile dei magistrati ( se un magistrato sbaglia deve pagare);

- la separazione delle carriere dei magistrati per il giusto processo.

   Il momento non è forse favorevole, con i processi di Berlusconi in corso, ma i radicali, che non possono certo essere tacciati di contiguità col Cavaliere, hanno scelto questo momento proprio perché il sistema giudiziario italiano è al collasso, e siccome la classe politica non è in grado di risolvere il problema con una profonda riforma, il ricorso ai cittadini attraverso il referendum non resta che la strada migliore da seguire.

   Il funzionamento della giustizia in Italia riguarda tutti i cittadini, indistintamente, e va oltre il problema legato ai processi in atto riguardanti Berlusconi. Occorrono 500 mila firme, e ci sono ancora 56 giorni di tempo: chi vuole cambiare la giustizia italiana non deve fare altro che presentarsi presso gli uffici comunali e depositare la propria firma.

Posta un commento

0 Commenti