MILANO - Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, il caso di Garlasco torna a far parlare di sé. A riaccendere i riflettori è ancora una volta l’ormai celebre impronta numero 33: una traccia palmare rinvenuta sulla parete della scala interna dell’abitazione della vittima. Un dettaglio investigativo apparentemente marginale, che oggi assume una nuova rilevanza alla luce di recenti sviluppi peritali.
Secondo nuove analisi, l’impronta potrebbe appartenere ad Andrea Sempio, all’epoca amico di Chiara Poggi. Una pista già in passato considerata dalla difesa di Alberto Stasi – l’ex fidanzato della giovane, condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio – e ora tornata al centro della scena grazie a nuove ipotesi sulla dinamica del delitto. In particolare, i tecnici suggeriscono che l’impronta sia stata lasciata da una persona che si è sporta sulla scala senza scendere fino in fondo, spiegando così l’assenza di ulteriori tracce ematiche sui gradini.
Un’ipotesi che mina uno dei punti chiave dell’accusa contro Stasi: ovvero che l’impronta non fosse compatibile con nessun altro soggetto presente sulla scena del crimine. Ma non solo. La difesa dell’ex bocconiano insiste su un altro dettaglio cruciale: la colorazione particolarmente intensa dell’impronta 33 rilevata con l’uso della ninidrina, un reagente chimico utilizzato per rilevare la presenza di materiale organico. Secondo i legali, la forte reazione chimica indicherebbe la presenza di sangue, elemento che rafforzerebbe l’ipotesi che l’autore della traccia fosse l’assassino o comunque una persona presente in un momento immediatamente successivo all’omicidio.
Se così fosse, verrebbe messo in discussione uno degli assunti centrali della sentenza di condanna nei confronti di Stasi, ovvero che non vi fosse alcuna impronta ematica riconducibile a soggetti terzi, e che l’impronta 33 non avesse alcuna rilevanza incriminante.
Gli avvocati difensori chiedono ora che venga riaperto il caso alla luce delle nuove risultanze, in particolare della possibile attribuzione della traccia a Sempio, la cui posizione era già stata vagliata – e successivamente archiviata – nel 2016, senza ulteriori sviluppi giudiziari.
Intanto, il dibattito pubblico si infiamma. Da un lato c’è chi chiede di non riaprire vecchie ferite e rispettare le decisioni definitive della giustizia; dall’altro, chi – sostenuto da tecnici e opinionisti – invoca nuove indagini alla luce di elementi che potrebbero riscrivere la storia del delitto.
Il mistero dell’impronta 33 resta così sospeso tra scienza forense e verità giudiziaria, in un intreccio che a distanza di quasi due decenni continua a interrogare investigatori, magistrati e un’intera opinione pubblica.
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