Psycho Circus: Tristezza, questa sconosciuta

A cura del dott. Donato Buongiorno

Dedico quest'articolo alla memoria di un amico, uno zio, purtroppo recentemente scomparso...

C.S.I. - Bolormaa

Osservo con timore Bolormaa la Contorta 
Concetto fatto carne nervi viscere legamenti 
Sinuoso movimento 
Monito terrorista che la retta è per chi ha fretta 
Non conosce pendenze smottamenti rimonte 
Densamente spopolata è la felicità 
Densamente spopolata è la felicità 
Preziosa
La felicità è senza limite e viene e va 
La felicità è senza limite e viene e va 
Viene 
Viene e poi se ne va 
Splendida Bolormaa arresa all'amore 
Fluida contorta molle resistente 
Lascia fluire il dolore 
Che la felicità è senza limite 
E va e viene 
E va e viene

Un bambino, al contrario di molti adulti, riesce a sentire se una persona sta soffrendo. La sua attenzione è attratta da qualcuno che sta vivendo un intenso stato d'animo di dolore, anche se questi cerca di mascherare la sua condizione.
A differenza dell'adulto, il bambino ancora sente fisicamente tutte le emozioni, sia piacevoli che spiacevoli. 
Se un adulto non si accorge della sofferenza di un'altra persona può significare che la sua vita lo ha portato a difendersi da quel dolore, anche a livello muscolare: il suo corpo - e, quindi, la sua mente - non reagisce. Per poter andare avanti sviluppa, per così dire, una sorta di insensibilità alla sua sofferenza che lo porta inevitabilmente a distaccarsi anche da quella altrui. Il bambino, invece, è in grado di percepire il dolore dell'altro e di comunicarglielo. 
Attraverso quelli che sono stati battezzati “neuroni specchio”, l'essere umano percepisce gli stati emotivi dell'altro e ne viene “contagiato” (contagio emotivo); attraverso l'empatia noi comunichiamo all'altro “Sento il tuo dolore e ti sono vicino”.
Quanto è importante la tristezza?
Una bambina particolarmente precoce e sensibile ha risposto a questa mia domanda dicendo: “Senza il dolore non si può vivere perchè fa parte della vita” e ha spiegato che la tristezza costituisce la controparte della felicità. Non tutti gli adulti sono così acuti.
Nella nostra cultura la tristezza è considerata un'emozione negativa, che deve essere evitata, nascosta, repressa. Allora, la persona che piange viene considerata debole: l'uomo viene considerato una “femminuccia”, la donna “isterica” (dal greco “hysteron”, utero).
D. Goleman (“Intelligenza Emotiva”, 1995), teorico dell'intelligenza emotiva, scrive: “la tristezza ha la funzione fondamentale di farci adeguare ad una perdita significativa, ad esempio a una grande delusione o alla morte di qualcuno che ci era particolarmente vicino. Essa comporta una caduta di energia e di entusiasmo verso le attività della vita – in particolare per le distrazioni e i piaceri – e, quando diviene più profonda e si avvicina alla depressione, ha l'effetto di rallentare il metabolismo. La chiusura in sé stessi che accompagna la tristezza  ci dà l'opportunità di elaborare il lutto per una perdita o per una speranza frustrata, di comprendere le conseguenze di tali eventi nella nostra vita e, quando le energie ritornano, di essere pronti per nuovi progetti. Può darsi che un tempo questa caduta di energia servisse a tenere i primi esseri umani vicini ai loro rifugi – e quindi al sicuro – quando erano tristi e perciò vulnerabili”. E, ancora, “il senso di deprivazione è utile; la depressione completa non lo è”.
Il senso di deprivazione ci permette un confronto, a volte duro, con la realtà; il riemergere e il modo in cui si riemerge è indice di maturità. Uno dei miei maestri, Antonio Lo Iacono, ribadisce sempre che bisogna “imparare a dire addio per entrare da padroni nel proprio futuro”; Freddy Mercury cantava “The show must go on”.
Essere in grado di distrarsi, grazie ai propri amici o attraverso attività che aiutano a non perpetuare lo stato d'animo triste, può aiutare a riemergere. La difficoltà sta, appunto, nel controllare la tendenza della depressione ad autoalimentarsi: trovare mille scuse per stare da soli; parlare, a cena con gli amici, solo di ciò che ci fa star male; guardare film o leggere libri tristi; eccetera.
Affrontare tutto ciò non è facile ed è per questo che, di solito, l'essere umano cerca di difendersi da queste situazioni. In primis, la paura del giudizio degli altri e la freneticità della vita moderna non ci mettono nelle condizioni di riflettere su ciò che è accaduto e che ci fa stare male. Di conseguenza ci difendiamo dal dolore. W. Reich (“La funzione dell'orgasmo”, 1968) parlava di armatura, sia caratteriale che muscolare, per indicare un atteggiamento difensivo che porta la persona a non sentire il dolore sia a livello “mentale” che fisico, dando vita ad una serie di contrazioni muscolari croniche nei punti in cui quel dolore ha origine. Secondo A. Lowen (“Bioenergetica”, 1975), nel corso della nostra vita ricerchiamo gratificazione attraverso le nostre attività. Ma questo cammino non è liscio. Esso è infatti pieno di ostacoli che ci portano a sperimentare deprivazione, frustrazione o punizione. 
L'ansia creata dalla consapevolezza di ciò può portarci a un atteggiamento difensivo nei confronti del dolore e, inevitabilmente, anche dell'attività piacevole che è stata ostacolata e che spesso non viene più perseguita. Difendendoci dalle esperienze spiacevoli rischiamo di non godere di situazioni piacevoli.
Per riassumere, usando le parole della bambina di cui sopra: il dolore fa parte della vita ed è la controparte della felicità: se ci difendiamo da uno ci defendiamo anche dall'altra. Un modo sano di vivere il dolore (come qualsiasi altro sentimento) è simbolo di intelligenza emotiva che, secondo P. Salovey (D. Goleman, 1995), significa: essere consapevoli delle proprie emozioni; essere in grado di controllarle; saper motivare sè stessi; imparare a riconoscerle negli altri; essere in grado di gestire le relazioni con gli altri. Come sanno fare i bambini.
Questo significa vivere meglio, vivere meglio con gli altri e fare in modo che gli altri vivano meglio con noi.




BIOGRAFIA
Dott. Donato Buongiorno, Psicologo laureato in “Psicologia del Lavoro” presso l'Università “La Sapienza” (Roma); specializzando in Psicoterapia presso l'Istituto di Psicoterapia Umanistico-Bioenergetica “PsicoUmanitas”; operatore di Training Autogeno e Basic Mindfulness; formatore. Durante il tirocinio valido per l'iscrizione all'albo degli Psicologi ha lavorato presso la società di consulenza per la formazione sulla Sicurezza sul Lavoro “Alea96” in Roma. Ha seguito un corso di formazione per l'analisi dei bisogni di autonomia di anziani e portatori di disabilità. Ha lavorato e continua a lavorare come educatore presso diverse strutture della provincia di Brindisi (in primis Cooperativa “Prisma” in Ostuni). Lavora come Psicologo libero professionista a Carovigno e a Brindisi.

Contatti:
Dott. Donato Buongiorno (Psicologia Clinica, Psicologia del Lavoro, Benessere, Crescita personale)
Tel. 3314341366

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