Psycho Circus: Cosa succede quando si “perde la bussola” in una relazione conflittuale?

THIS MEANS WAR! Cosa succede quando si “perde la bussola” in una relazione conflittuale?


A cura del dott. Donato Buongiorno

Capita spesso che due o più persone iniziano a scherzare e a prendersi in giro. Ad un certo punto, può succedere che una delle due esageri e si faccia scappare qualche parola di troppo che all'altra non piace. A questo punto si crea un risentimento, inizia un dibattito in cui è possibile che volino anche parole più pesanti. 
Se la questione non viene risolta subito, la situazione non può far altro che peggiorare in un'escalation che può portare al litigio, al venire alle mani, eccetera.
L'escalation di un conflitto può essere definita come un aumento parallelo di intensità e violenza del conflitto stesso. È caratterizzata da “soglie”, limiti regolati da norme implicite e rispettate da tutti... finchè qualcuno non decide di infrangerle (E. Arielli, G. Scotto, “Conflitti e mediazione”, 2003).
Molti conflitti possono essere risolti  prima del superamento di tali soglie, altri possono “stagnare” ad un livello più basso di escalation, altri ancora possono superare i cosiddetti “punti di non ritorno”.
Friedrich Glasl, economista austriaco ed esperto di conflitti, ha creato un modello a nove fasi, in cui descrive l'evoluzione dell'escalation. Secondo l'autore, più si va avanti nelle fasi più gli attori vengono “risucchiati” dalla situazione perdendo sempre più la capacità di controllo su ciò che accade (Glasl 1982, 1997):

1. Irrigidimento. Le parti si dividono, i punti di vista si fanno più rigidi e contrapposti. Ci si impegna sempre più nella ricerca di aspetti positivi propri e negativi della controparte.

2. Dibattito e polarizzazione. Se l'irrigidimento non viene risolto si crea una contrapposizione netta tra le due parti. In questa fase la comunicazione verbale ha ancora un ruolo importante ma viene utilizzata per ottenere un vantaggio sulla controparte (per ottenere la ragione) anziché per risolvere il problema. Questo modo di fare può incrinare maggiormente i rapporti.

3. La strategia del fatto compiuto. Quando le parole non servono più, si passa ai fatti. La preoccupazione non è più quella di avere ragione ma quella di raggiungere i propri obiettivi. La comunicazione, così, diventa non verbale. Il problema di questo tipo di comunicazione è che le intenzioni di chi agisce rischiano di essere ingigantite dalla controparte: l'azione può dare un'impressione più aggressiva delle intenzioni che ne sono alla base.

- Fin qui la strategia è del tipo “win-win”: io vinco – tu vinci -

4. Preoccupazione per l'immagine e ricerca di alleati. Si cerca di isolare l'avversario costruendone un'immagine negativa ed enfatizzando, contemporaneamente, la positività della propria. Il conflitto, così, si estende a chi non è direttamente coinvolto in esso alla ricerca di alleati e sostenitori.

5. La perdita della faccia. Il problema ora è il nemico in sé e per sé e ciò che viene attaccata è la sua dignità. La polarizzazione tra le parti si fa estrema e ogni parte considera nemico chiunque non è suo alleato.

6. Strategie della minaccia. Questa strategia segue tre diverse fasi: quella di un iniziale “blando” atteggiamento minaccioso, che lascia comunque aperto uno spiraglio per una risoluzione alternativa; successivamente, l'atteggiamento diventa più esplicito con il progressivo impegno ad agire nel caso in cui le proprie richieste vengano ignorate; infine, l'ultimatum in cui si impone all'avversario di fare una scelta entro un limite di tempo. Ovviamente, in questa situazione, si rischia di perdere totalmente la calma (emotività) e la lucidità (razionalità).

- Dal 4° al 6° stadio la strategia è del tipo “win-lose”: io vinco – tu perdi -

7. Distruzione limitata (sabotaggio). È guerra! Le parti iniziano ad attaccare i punti di forza dell'avversario consapevoli del rischio di subire, a loro volta, un danno e delle perdite. L'unico obiettivo diventa il cedimento dell'avversario. Personaggi come Gandhi, invece, ci hanno mostrato come si può resistere all'attacco e alla violenza attraverso una “strategia nonviolenta”, di resistenza attiva (e non solo) in risposta alle azioni della controparte.

8. Disintegrazione. L'obiettivo delle parti diventa la distruzione dell'avversario colpendo quello che è il centro del suo potere e consenso, le sue risorse e ciò che lo legittima gli occhi degli altri.

9. Distruzione reciproca: insieme nell'abisso. L'obiettivo di annientare l'avversario arriva qui alle estreme conseguenze in cui persino l'autodistruzione viene considerata una scelta accettabile finchè porta, come risultato, l'eliminazione dell'avversario.

- Nelle ultime tre fasi la strategia è del tipo “lose-lose”: io perdo – tu perdi -

Questo è un modello che può essere adattato all'osservazione dei conflitti a livello interpersonale ma anche in ambito lavorativo, politico e a livello internazionale. Non è un modello universale ma ci offre una panoramica degli atteggiamenti di chi sta affrontando un conflitto; di come, a poco a poco, la ragione cede il passo alle emozioni distruttive le quali, alla fine, “sequestrano” le due parti che perdono totalmente interesse nei confronti della propria sicurezza, incolumità, dignità e di autorealizzazione con il solo ed unico fine di eliminare l'avversario. Che, tradotto in soldoni, significa: “rinuncio a tutte le mie pretese, i miei obiettivi, i miei bisogni - la mia esistenza! - basta che tu non esista più!”.
Per affrontare una situazione, o un avversario, difficile è necessaria paura ma anche rabbia. La paura prevede tre tipi di reazioni: il congelamento, la fuga o l'attacco. Ma è necessaria la rabbia per attaccare e il piacere che ne deriva dovrebbe essere dovuto al raggiungimento di un obiettivo invece che al danno inferto. Nelle ultime tre fasi del modello di Glasl, in particolare nell'ultima, interviene anche quella che i tedeschi chiamano Schadenfreude, la “gioia dovuta al danno causato” oppure la “gioia per la sfortuna altrui”, una reazione sadica in cui si crea un “minestrone emozionale” in cui anche la gioia (emozione normalmente considerata “positiva”) prende parte ad un'azione negativa.
Questo modello potrebbe essere utile, anche, per fare una sorta di introspezione (o un esame di coscienza): quanto siamo disposti ad andare oltre quando siamo in conflitto con qualcuno? Ci siamo mai spinti oltre la 6a fase? L'odio che si può provare per un'altra persona davvero può spingerci a mettere a repentaglio la nostra incolumità e sicurezza? O la dignità? Oppure a non avere nessun altro obiettivo se non l'annientamento dell'altro?
Infine, siamo in grado di resistere all'attacco e alla violenza degli altri senza farci abbattere nel corpo e nello spirito, senza diventare noi stessi violenti e portando avanti i nostri obiettivi per la soddisfazione dei nostri bisogni?
Come dice una vecchia storia dei Pellerossa: in ognuno di noi c'è lo scontro tra due lupi, uno buono e uno cattivo. Vince quello che nutriamo di più...però l'altro c'è sempre e comunque e aspetta di essere nutrito.



BIOGRAFIA
Dott. Donato Buongiorno, Psicologo laureato in “Psicologia del Lavoro” presso l'Università “La Sapienza” (Roma); specializzando in Psicoterapia presso l'Istituto di Psicoterapia Umanistico-Bioenergetica “PsicoUmanitas”; operatore di Training Autogeno e Basic Mindfulness; formatore. Durante il tirocinio valido per l'iscrizione all'albo degli Psicologi ha lavorato presso la società di consulenza per la formazione sulla Sicurezza sul Lavoro “Alea96” in Roma. Ha seguito un corso di formazione per l'analisi dei bisogni di autonomia di anziani e portatori di disabilità. Ha lavorato e continua a lavorare come educatore presso diverse strutture della provincia di Brindisi (in primis Cooperativa “Prisma” in Ostuni). Lavora come Psicologo libero professionista a Carovigno e a Brindisi.

Contatti:
Dott. Donato Buongiorno (Psicologia Clinica, Psicologia del Lavoro, Benessere, Crescita personale)
Tel. 3314341366

Posta un commento

0 Commenti