G8 di Genova: quelle ingiustizie a carico della polizia, e i veri torturatori mai scovati


GENOVA. Si chiama "G8. Processo al processo РIndagine su sette capisquadra di polizia travolti da errori commessi dalla Giustizia", ed ̬ il libro inchiesta appena uscito, il cui scopo ̬ chiedere una reale giustizia su quanto accaduto.

A 19 anni dal G8 di Genova (luglio 2001), il libro, edito dalla Spring Edizioni, analizza l’esito processuale della mattanza della scuola Diaz, partendo dalle analisi di uno dei reparti mobili che ha partecipato alle azioni di piazza e che era presente, quella sera, nella scuola.
Attraverso lo studio analitico dei fatti e quello delle carte processuali, l’autore, Roberto Schena, solleva dubbi sulla volontà di scovare i nomi dei responsabili materiali delle gravissime percosse ai manifestanti e dimostra che alcuni degli agenti incriminati non sono stati accusati di specifici atti violenti, ma generalmente di "non aver impedito" i gravi fatti.
Le analisi sugli strumenti utilizzati per torturare i manifestanti inermi, non sono state approfondite, per stessa ammissione degli esperti: sono stati esaminati solo 122 degli almeno 300 manganelli utilizzati, gli studi si sono basati solo sulle tracce visibili e non hanno neanche cercato eventuali residui di prodotti per la pulizia, che avrebbero cancellato ogni segno.
I nomi degli accusati, poi, sono venuti fuori scorrendo le firme sui verbali di azione, senza evidentemente fare abbastanza per riuscire a risalire a chi, quella sera, ha sfogato materialmente la propria violenza su persone disarmate e terrorizzate.
Anzi, quegli agenti mai identificati sono rimasti in servizio e hanno continuato a lavorare all’interno delle forze di polizia.
Alcuni degli agenti del nucleo sono stati condannati solo perché i loro nomi erano presenti nei verbali di arresto, cosa che ne provava la presenza alla Diaz quella sera, abbastanza per accusarli di non aver impedito il massacro.
Ma nella scuola entrarono circa 350 agenti. Era davvero impossibile risalire ai loro nomi? Chi, fra tutti gli altri reparti presenti al blitz, non ha redatto relazioni, come dovuto, non ha corso nessun rischio di finire sul banco degli imputati.
Enrico Zucca, tra i magistrati del processo Diaz, ha affermato che non si è riusciti ad identificare alcun torturatore, che le forze di polizia non hanno consegnato alla magistratura nessun torturatore e anzi, chi li ha coperti è ora ai vertici delle forze di polizia.
Non si sa quanti agenti hanno effettivamente abusato dei poteri loro conferiti dalla divisa e quanti sono rimasti a guardare; non si è riusciti a risalire nemmeno a chi ha ridotto il giornalista Mark Covell in fin di vita.
Eppure, qualcuno ha pagato. Come mai, e per cosa?
Per quel che riguarda Roberto Schena, è nato a Milano nel 1954, dove vive da sempre e dove ha esercitato come giornalista professionista nelle redazioni di cronaca e politica di diverse testate quotidiane. Ha pubblicato diversi pamphlet a cavallo fra storia moderna e attualità. Del 2009 è Pio XII santo?, excursus dei pro e contro il sicuramente discutibile operato del Pontefice più chiacchierato del secolo, a cominciare dalla nomina cardinalizia fino alla controversa considerazione in cui è tenuto nei nostri giorni. Del 2013 è "Storiacce padane – Come non costruire un partito, tanto meno il suo giornale", sulla nascita del quotidiano "La Padania", che inizialmente vendeva 70mila copie al giorno e dove l’autore ha lavorato per 20 anni, nonché sugli errori imperdonabili commessi dalla Lega nel condurre il suo prodotto culturale più significativo, tali da averlo portato alla chiusura.