(Foto LAPRESSE)
Davanti ai microfoni dei giornalisti e una piccola folla di sostenitori, Assange ha esordito con “oggi è un’importante vittoria, per me e per i diritti umani”. Ci tiene però a ricordare, con amarezza, i suoi “sette anni da recluso senza un’incriminazione; in prigione, agli arresti domiciliari e in questa ambasciata da cinque anni, senza poter vedere la luce del sole”; “questo non è qualcosa che io possa dimenticare, o perdonare”, dichiara lapidario. Infine, afferma con forza che “la vera guerra è appena cominciata”, riferendosi al fatto che Scotland Yard, in esecuzione del mandato di cattura emesso dalla Westminster Magistrates' Court, procederà all’arresto nel caso in cui l’attivista varchi la soglia dell’ambasciata ecuadoriana, e che gli Stati Uniti potrebbero incriminarlo con l’accusa di aver diffuso documenti governativi contrassegnati come segreti o confidenziali; motivo per cui l’uomo ha sempre evitato di recarsi in Svezia, per il timore che possa essere estradato appunto negli USA. Qui Assange rischierebbe l’ergastolo o addirittura la pena di morte, anche se in teoria la Corte europea dei diritti dell’uomo vieta l’estradizione all’estero per un imputato che rischia la pena capitale.
I reati per cui Julian Assange poteva essere perseguito in territorio svedese erano in tutto quattro: coercizione illecita, due accuse di molestie sessuali e infine stupro, avvenuti ai danni di due donne diverse. L’attivista ha sempre sostenuto che fosse un piano per screditare la sua figura e che fosse un processo di natura meramente politica. In ogni caso, i tre capi d’accusa di coercizione e molestie erano caduti in prescrizione nel 2015.
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