Uber fuorilegge, la società prepara il ricorso. E spera nel Governo


di MARCO MONGELLI - Le lancette corrono veloci. È una corsa contro il tempo. I telefoni sono bollenti fra Roma, Milano, Londra e San Francisco. Per Uber Italia sono le ore più difficili da quando l'azienda californiana è sbarcata nel nostro Paese. La sentenza del Tribunale di Roma non lascia scampo: 10 giorni e il servizio UberBLACK deve essere sospeso. Pena una multa da 10mila euro al giorno. L'accusa è di concorrenza sleale nei confronti dei Taxi, che intanto esultano: «Una nuova schiacciante vittoria su Uber». L'ultima spiaggia, adesso, sembra essere un intervento tempestivo del governo.

Una doccia gelata che arriva a distanza di circa due anni da quel 26 maggio 2015, data in cui il Tribunale di Milano sospese il servizio UberPOP. Due sentenze, quella di allora e quella di oggi, che rischiano di sgretolare il business italiano della multinazionale con sede a San Francisco.

Stavolta, però, la faccenda è più intricata. Perché se alle vicissitudini del servizio low cost UberPOP (quello che in sostanza rende un po' tutti autisti, registrandosi attraverso una App), Uber è in qualche modo abituata, il capitolo riguardante gli Ncc, cioè UberBLACK, non è mai sembrato in bilico, e nei Paesi dove è presente continua a funzionare regolarmente. Per questo la decisione del tribunale di Roma ha colto di sorpresa l'azienda e gli oltre mille autisti che prestano servizio per Uber, tanto che anche la stampa internazionale si sta occupando in queste ore del caso Italia.

Carlo Tursi, general manager di Uber Italia, è in contatto costante con i vertici internazionali della società, e ha deciso di non rilasciare dichiarazioni. Il CEO di Uber, Travis Kalanick, sta seguendo l'evolversi della faccenda dagli uffici di San Francisco. Per adesso, però, non è stata presa nessuna posizione ufficiale, se non la volontà di ricorrere immediatamente in Appello: «Faremo ricorso contro questa decisione – fa sapere una fonte vicina all'azienda - basata su una legge ormai vecchia e che non rispecchia più quelli che sono i tempi attuali. Lo dobbiamo ai migliaia di autisti professionisti, per consentir loro di continuare a lavorare grazie all'app di Uber. Ma lo dobbiamo anche alle persone, che devono poter scegliere che servizio usare per la loro mobilità».

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