Censis, reddito giovani -26% rispetto a 25 anni fa

ROMA - Sono evidenti gli esiti di un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo ko economicamente i millennial. Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%. Nel confronto con venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%. E' quanto emerge dal 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese.

La ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell’insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell’84,7%. Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo, perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%).

Per il Censis, inoltre, nel biennio 2014-2015 c’è stato un lieve recupero dei consumi (+2,1%) dopo la forte contrazione del periodo di crisi (-7,6% negli anni 2008-2013). Ma sono 26 milioni gli italiani che ancora oggi indicano come prioritario il contenimento delle spese quotidiane. Profonde sono le disuguaglianze sociali: tra le famiglie a basso reddito il 58% indica la priorità di comprimere le spese e il 28% vorrebbe spendere qualche soldo in più sui consumi per il proprio benessere, mentre tra le famiglie benestanti le percentuali sono pari rispettivamente al 34% e al 46%. In questi anni c’è stato però un "welfare dei consumi" riferibile all’operato dei player della distribuzione moderna organizzata, grazie alla leva dei prezzi e alle promozioni, che si è materializzato nella concreta possibilità per le famiglie di comporre un carrello della spesa articolato e modulato sulla propria capacità economica.

Appaiono poi sempre più concreti i rivolgimenti riconducibili alla sharing economy. Ma le nuove pratiche che si stanno diffondendo sollevano polemiche su due fronti: il rispetto delle regole concorrenziali rispetto ai servizi preesistenti e gli effetti indiretti sui "lavoretti" on demand.

È suonato troppo in fretta il de profundis per la produzione manifatturiera dentro i perimetri urbani. Nei comuni capoluogo opera il 25,4% delle aziende, con circa un milione di addetti (il 26,6% del totale). Le 12 più grandi città italiane raccolgono il 37,3% delle startup innovative (e il 23,8% di quelle inquadrabili nel manifatturiero), il 45% degli incubatori d’impresa, il 43,5% degli spin-off universitari e il 21,1% dei fablab dove si applicano i talenti dei nuovi "artigiani digitali" protagonisti della rivoluzione dell’industria 4.0.

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